Istituzioni e stupidità, un saggio di William Hazlitt sulla stupidità delle Istituzioni, politiche ed accademiche, un articolo sempre di estrema attualità
Avere una cattiva opinione degli uomini, senza voler far loro del male, è forse la forma più alta di saggezza e di virtù.
William Hazlitt
Le istituzioni sono più corrotte e più guaste degli individui, perché hanno più potere per fare del male, e sono meno esposte al disonore e alla punizione. Non provano né vergogna, né rimorso, né gratitudine, e neanche benevolenza.
William Hazlitt
Una certa stupidità è indispensabile. Gli enciclopedisti sono alla base di quell’intelligenza che è una formatrascendente della stupidità.
Jean Cocteau
Dev’essere un’essenza concentrata, un rappresentante ben truccato e incipriato dei vizi, delle assurdità, dell’ipocrisia, della gelosia, dell’orgoglio e della presunzione del suo partito. Un individuo del genere, a forza di intrigare, darsi importanza e distribuire lodi sperticate, adulando i presenti e denigrando gli assenti, prestandosi alle debolezze di alcuni, e incoraggiando le cattive inclinazioni di altri, in una società ristretta passerà per un grand’uomo.
William Hazlitt
Per essere un capo o un dittatore deve essere diplomatico nella sfacciataggine e delicato nel lavoro più sporco. Non deve semplicemente conformarsi ai pregiudizi correnti, deve anche adularli. Non deve solo essere insensibile alle richieste di moderazione e di equità, deve gridare forte contro di esse.
William Hazlitt
Sentirete molte più cose spiritose viaggiando a cassetta in diligenza da Londra a Oxford, che in un anno di permanenza fra gli studenti e i professori di quella celebre Università.
William Hazlitt
Il cretinismo parlamentare è una malattia deplorevole, ma il cretinismo antiparlamentare non vale molto di più.
Trotskij
Le istituzioni sono più corrotte e più guaste degli individui, perché hanno più potere per fare del male, e sono meno esposte al disonore e alla punizione. Non provano né vergogna, né rimorso, né gratitudine, e neanche benevolenza. La coscienza individuale o naturale del singolo componente viene soffocata (non possiamo avere un principio morale nel cuore degli altri), e non si pensa ad altro che a dirigere meglio lo sforzo comune (liberato da scrupoli inutili) per ottenere vantaggi politici e privilegi, da spartirsi poi come bottino.
Ciascun membro raccoglie il profitto, e rovescia la colpa, se c’è, sugli altri… Se uno dei membri solleva un’eccezione del genere opponendosi al gruppo, viene subito zittito, si fa il sangue cattivo, e non conclude niente: viene considerato un intruso, una pecora nera nel gregge, e lo cacciano via, oppure lo obbligano a sottostare alle convinzioni e ai desideri di coloro ai quali si è associato e che si aspettano la sua cooperazione.
Le sottigliezze del giudizio individuale sono assegnate a una commissione, che le vanifica, mentre i progetti e gli interessi dell’istituzione trovano un segreto, ma potente appoggio nell’amor proprio dei diversi membri. Rimostranze e opposizioni non danno frutti, sono fastidiose, irritanti. Non portano a nulla. Conformarsi al modo di vedere della compagnia è necessario tanto per continuare a essere considerati socievoli, quanto per avere una vita tranquilla… Così restringe la vaga e insignificante qualifica di Uomo nel più enfatico titolo di Cittadino onorario e Assessore Comunale. Sente che gli obblighi verso l’umanità indefinita si allentano sempre più, man mano che si lega più strettamente ai nuovi impegni.
A mano a mano perde di vista senso e sentimenti comuni, immerso com’è tra litigi, intrighi, beghe e arie: meschinità che ormai lo coinvolgono intimamente e a cui attribuisce enorme importanza. E’ diventato un altro. “La società gli deve veramente molto per quest’ultimo affare”; cioè, per qualche squallido inghippo, qualche manovra sottobanco per usurpare i diritti del prossimo, o per calpestarne le ragioni. Nel frattempo mangiano, bevono e gozzovigliano insieme. Affogano nei boccali di una pinta tutte le piccole animosità e le inevitabili differenze d’opinione. Le lagnaze della moltitudine si perdono tra il rumore delle stoviglie e i “lunga vita al re!”, sbraitati alle riunioni trimestrali, o ai pranzi offerti dal sindaco…
Oltre questo confine l’energia è bloccata, la coscienza disseccata, e tutta questa massa inerte è come una torpedine che paralizza i migliori sentimenti e indurisce il cuore. Si dice che il riso e le lacrime siano i segni caratteristici dell’umanità. Il riso è abbastanza comune nelle alte sfere perché dà risalto per contrasto alla recita dell’austerità, ma chi ha mai visto un’istituzione pubblica in lacrime? Sol un affare o qualche furfanteria può tenerli seri per più di dieci minuti consecutivi.
Queste sono le qualifiche e il tirocinio necessari a un uomo per essere tollerato in un’istituzione, dove però è ammesso come una semplice unità numerica, conta zero. Per essere un capo o un dittatore deve essere diplomatico nella sfacciataggine e delicato nel lavoro più sporco. Non deve semplicemente conformarsi ai pregiudizi correnti, deve anche adularli. Non deve solo essere insensibile alle richieste di moderazione e di equità, deve gridare forte contro di esse. Non soltanto deve lasciarsi coinvolgere nel complotti e negli intrighi più spregevoli, dev’essere anche infaticabile nel fomentarli e nel seminare zizzania. Non solo deve ripetere le menzogne, ma inventarle.
Da queste piccole debolezze, e dai «risvegli di coscienza», i membri sono efficacemente protetti dalle regole e dai regolamenti della loro società e dallo spirito che la domina. L’ individuo è la creatura di tutti propri sentimenti, il gingillo dei propri vizi e dell proprie virtù. E’ rivestito di un abito multicolore come il buffone in Shakespeare, ma le istituzioni son rivestite di una uniforme morale: non hanno senti menti complessi, la debolezza è trasformata in sistema, «le malattie diventano merce». Del naturale e genuino impulso personale viene ammesso soltanto quel tanto che è comprensibile alla coscienza collettiva dei membri, o che risulta utile agli interessi (veri o presunti), all’importanza, alla rispettabilità e ai fini dichiarati della società.
Fare discorsi e scrivere programmi, dedicarsi ai desideri e agli scopi della società, esserne la creatura, lo sciacallo, il ficcanaso, il portavoce, il suggeritore. Deve essere pratico di processi, di rinvii, di privilegi, di tradizioni, di luoghi comuni, di logica e retorica, di tutto, fuorché di buon senso e di onestà. Deve (come dice Burke) “vuotarsi delle sue viscere naturali e riempirsi di miserabili, sudici fogli di pergamena riguardanti i diritti” di pochi privilegiati.
Dev’essere un’essenza concentrata, un rappresentante ben truccato e incipriato dei vizi, delle assurdità, dell’ipocrisia, della gelosia, dell’orgoglio e della presunzione del suo partito. Un individuo del genere, a forza di intrigare, darsi importanza e distribuire lodi sperticate, adulando i presenti, e denigrando gli assenti, prestandosi alle debolezze di alcuni, e incoraggiando le cattive inclinazioni di altri, ìn una società ristretta passerà per un grand’uomo. l’età non migliora la moralità delle pubbliche istituzioni.
Si attaccano sempre più tenacemente ai loro piccoli privilegi, e alla loro insensata credenza di essere importanti. L’ostinazione aumenta di pari passo con l’indebolimento… Lo scopo inevitabile di tutte le istituzioni culturali non è di diventare sapienti, o di insegnare la sapienza ad altri, ma d’impedire a chiunque altro di diventare o sembrare più sapiente di loro. In altre parole, la loro infallibile tendenza è, in fondo, di soffocare le indagini ed oscurare il sapere, mettendo dei limiti alla mente dell’uomo, e dicendo al suo fiero spirito: “Fin qui arriverai, e non oltre!”
Sarebbe un esperimento istruttivo pubblicare la lista dei lavori pubblicati nel corso dell’anno dai membri delle università. C’è da fare qualche tentativo per abborracciare un sistema sbilenco in campo legislativo e politico, o circa il governo della Chiesa? Ci pensa un membro dell’università. Bisogna compiere una riflessione su qualche argomento da lungo tempo esaurito “incuranti della vergogna, e dell’error della ragione”? Ci pensa un membro dell’università. Viene annunciato un progetto per conservare gli antichi pregiudizi adattandoli per opportunismo a usanze moderne? Il progetto è di un membro dell’università.
Così ogni anno ci arriva una fornitura fissa di Rimedi contro il calo dei titoli obbligazionari, Pensieri sui mali dell’educazione, Trattati sulla predestinazíone, ed Elogi di Malthus, tutti da un’unica fonte, e tutti dello stesso tenore. Se venissero da qualsiasi altra parte nessuno li degnerebbe di uno sguardo, ma hanno l’Imprimatur della noia e dell’autorità: sappiamo che sono innocui, e così vengono esposti nelle vetrine dei librai e letti (nell’intervallo tra un’opera di Byron e un romanzo scozzese) nelle città sedi di vescovadi e nei borghi vicini!
Suppongo e so che nelle più moderne istituzioni per l’incoraggiamento delle belle arti le condizioni sono pressappoco le stesse. Non si pensa agli scopi ma ai mezzi; le regole prendono il posto della natura e del genio; intrighi, beghe e lotte per graduatorie e precedenze sopraffanno lo studio e l’amore per l’arte. Un’Accademia Reale di pittura è una specie d’ospedale o d’infermeria per le stranezze del gusto e della spontaneità, un luogo di sosta nel quale l’entusiasmo e l’originalità si fermano e stagnano per non spandere più la loro influenza: invece dovrebbe essere una scuola che incoraggi il genio, un tempio dedicato alla fama. Tutti quelli che si agitano, strisciano e pregano per ottenere un posto, vivono poi sugli attestati di merito fino alla vecchiaia, dopo la quale è raro che se ne senta più parlate. Se capita fra di loro un uomo veramente capace, che segue la sua strada, non conta niente.
Consigli, risoluzioni, discorsi, votazioni: mai che compaia il suo nome. Se si presenta con progetti e idee per il bene dell’Accademia e per lo sviluppo dell’arte, viene subito trattato come un visionario, un fanatico con idee ostili all’interesse e al credito dei membri della società. Se incoraggia gli allievi a dipingere soggetti storici, fa diminuire all’istante le entrate dei professionisti, che sono quasi tutti (per volontà di Dio) pittori di ritratti. Se elogia l’arte antica e i classici antichi, credono che sia spinto dall’invidia verso i pittori moderni e i talenti naturali. Se poi insiste sulla conoscenza dell’anatomia perché la ritiene essenziale al disegno, sembra che voglia implicitamente criticare i nostri eminenti disegnatori.
Qualunque piano, suggerimento o discussione che abbia come oggetto i propositi generali e i principi dell’arte, viene ostacolato, disprezzato, messo in ridicolo e calunniato, perche dà l’impressione di ledere i profitti e le pretese della grande massa dei rispettabili e prosperosi artisti del paese. Questo suscita irritazione e risentimento da tutte le parti. L’ostinazione delle autorità costituite cresce di pari passo con la violenza, e la stravaganza degli oppositori, e danno tutta la colpa alla follia e agli sbagli che loro stesse hanno provocato o aggravato. Ogni cosa è un fatto personale, non una questione di pubblico interesse, e percio la dignità dell’istituzione entra in gioco più quando è minacciata dai passi falsi e dalle sbadataggini dei suoi membri, che quando si tratta di promuovere i loro obiettivi comuni e dichiarati…
Sappiamo che esiste tra i ladri un senso d’onore, ma pochissima onestà verso chi non è dei loro. Il loro senso d’onore consiste nel dividere equamente il bottino fra di loro, non nell’acquistarlo onestamente. In genere non si tradiscono l’un l’altro, ma tendono agguati a uno straniero, o spaccano la testa ad un viandante. Danno l’allarme se uno dei loro covi corrre pericolo di essere scoperto, e si sosterranno a vicenda fino a versare l’ultima goccia di sangue per difendere i loro illeciti guadagni. Eppure formano una società, e sono rigorosamente responsabili della loro condotta tanto l’uno verso l’altro, quanto verso il loro capo… Gli eccessi ai quali va soggetta hanno origine appunto da quella mancanza di previsione e di sistema che è la prova della rettitudine e della bontà che anima le sue intenzioni. In breve, l’unica classe di persone alla quale non si può rivolgere l’accusa di essere disonesta o corrotta è quella società composta di individui che va in genere sotto il nome di popolo!
William Hazlitt
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