Idee, parole, metafore e riflessioni
 
Massime di Epicuro

Massime di Epicuro

Epicuro Massime Capitali
Epicuro Massime Capitali

Massime di Epicuro. Le Massime capitali sono un’opera del filosofo greco Epicuro, Epíkouros in greco, “alleato” o “compagno soccorritore”. L’opera, come si può arguire dal titolo, venne concepita come un compendio della dottrina epicurea in forma aforismatica; infatti è composta esclusivamente da quaranta massime riportate nei paragrafi dal 139 al 154 del X libro delle Vite dei filosofi di Diogene Laerzio, che ci ha tramandato questo scritto.

Epicurus, in latino, (Samo, 10 febbraio 341 a.C. – Atene, 270 a.C.) fu iniziato ben presto alla filosofia sopattutto democritea dallo scettico Nausifane, e nel 306 fondò una sua scuola in Atene che divenne una delle maggiori scuole filosofiche dell’età ellenistica e romana. L’epicureismo si diffuse dal IV secolo a.C. fino al II secolo d.C., quando poi, avversato dai Padri della Chiesa, subì un rapido declino, per essere in seguito rivalutato alcuni secoli dopo dalle correnti naturalistiche dell’Umanesimo, del Rinascimento e dal razionalismo laico illuminista.

Per capire meglio il pensiero di Eraclito dobbiamo ricordare il presupposto di Leucippo, sviluppato in seguito da Democrito, che è quello di una materia unitaria ed omogenea come l’essere parmenideo, ma a differenza del filosofo eleate, essi ammettono l’esistenza reale anche del non essere, il vuoto. La materia dunque è formata da elementi semplici che non possono essere ulteriormente scissi, gli atomi (in greco, indivisibili), separati gli uni dagli altri dal vuoto che li differenzia, ed essi in virtù del loro peso e volume sono soggetti ad una forza che li muove e li fa cadere, così urtandosi nella caduta, si aggregano e si disgregano continuamente. Per questi filosofi l’origine del divenire è dunque data dalla presenza della materia e del vuoto. Da sottolineare che il mondo materialistico di Democrito non richiede il concorso divino, essendosi formato naturalmente, senza fine, né ragione, definito in seguito da Dante posto a caso.

Tornando ad Epicuro, egli possedeva una villa con un ampio giardino nella quale ospitava discepoli ed amici che praticavano una vita frugale e sobria in comunità, ispirandosi al maestro. Raffinato, pacato dominatore di se stesso, egli appariva sempre sereno, anche quando, negli ultimi anni della sua vita, una dolorosa malattia lo fece soffrire molto. Le sue opere sono andate quasi tutte perdute, ma le sue dottrine trovarono un efficace estensore in Lucrezio, che ne fece oggetto del suo poema De rerum natura. In ogni caso ci restano le sue Massime capitali che vennero pensate dall’autore per coloro che, non potendo avvicinarsi con profitto ai testi epicurei, avrebbero comunque potuto accostarsi alle sue tesi attraverso aforismi più immediati. Epicuro si pose come obiettivo fondamentale quello di liberare l’uomo da ogni fonte di preoccupazione, e perciò vide nell’atomismo la concezione più idonea a togliere all’uomo i suoi due principali terrori: l’aldilà e l’intervento divino nelle vicende umane.

Epicuro cercò in se stesso le risorse maggiori per poter avere una predisposizione piacevole e serena all’esistenza. Fuggì dalla vita pubblica, fonte di affanni, già a sufficienza soddisfatto di ciò che gli era concesso di godere dalla vita. Infine considerò la vera virtù come “Vivere nascostamente”, stabilendo gradevoli incontri con gli amici e realizzando un ideale di imperturbabilità (in greco, atarassia), in totale assenza del dolore (in greco, aponia).

La pubblicazione di queste massime capitali, con inclusa la lettera sulla felicità, all’interno di questo sito dedicato agli aforismi celebri, costituisce il primo passo di un cammino all’interno del sapere filosofico ed enigmatico classico che proseguirà con gli aforismi di Eraclito, di Epitteto, con le regole aureee dell’antica saggezza passando per Socrate, Platone e gli aforismi degli antichi filosofi per poi finire con la pubblicazione dei 100 principi sintetici della Daimonologia applicata di Carl William Brown, anche questi volti ad esplicitare un’estrema sintesi concettuale e polisemica dell’intera opera dell’autore in questione.

Vana è la parola di un filosofo che non guarisce l’uomo che soffre. Perché come a nulla vale la medicina se non scaccia la malattia dal corpo, anche la filosofia a nulla serve se non elimina la sofferenza dalla mente.
Epicuro

1. L’essere beato e immortale non ha affanni, ne ad altri ne arreca; è quindi immune da ira e da benevolenza, perché simili cose sono proprie di un essere debole.

2. La morte non è niente per noi. Ciò che si dissolve non ha più sensibilità, e ciò che non ha sensibilità non è niente per noi.

3. Il limite estremo della grandezza dei piaceri è la rimozione di tutto il dolore. Dove sia il piacere, e per tutto il tempo che vi sia, non vi è posto per dolore fisico, o dell’anima, o per l’uno e l’altro insieme.

4. Non dura ininterrottamente il dolore della carne; il suo culmine dura anzi un tempo brevissimo; e ciò che di esso appena oltrepassa il piacere non si protrae molti giorni nella nostra carne. Le lunghe malattie poi arrecano alla carne più piacere che dolore.

5. Non è possibile vivere felicemente senza anche vivere saggiamente, bene e giustamente, né saggiamente e bene e giustamente senza anche vivere felicemente. A chi manchi ciò da cui deriva la possibilità di vivere saggiamente, bene, giustamente, manca anche la possibilità di una vita felice.

6. Al fine di procurarsi sicurezza nei riguardi degli altri uomini, anche i beni del comando e del regno sono beni secondo natura in quanto con tali mezzi si sia capaci di procurarsela.

7. Alcuni vollero divenire famosi e rinomati ritenendo così di procurarsi sicurezza nei riguardi degli altri uomini. Ammesso che in tal modo la loro vita sia diventata veramente sicura, essi hanno acquistato un bene secondo natura; ma se la loro vita non lo è divenuta, non hanno raggiunto quel bene secondo natura sotto il cui impulso hanno agito fin dall’inizio.

8. Nessun piacere è di per se stesso un male: però i mezzi per procurarsi certi piaceri arrecano molti più tormenti che piaceri.

9. Se ogni piacere si intensificasse nel suo luogo e nella sua durata, e pervadesse tutto il nostro composto o le parti più importanti del nostro essere, allora i piaceri non differirebbero gli uni dagli altri.

10. Se le cose che danno luogo ai piaceri propri dei dissoluti fossero anche tali da liberarci dai timori dell’ animo circa i fenomeni celesti, la morte, il dolore, e ci insegnassero quale sia il limite dei desideri, non avremmo niente da rimproverare a quelli: essi sarebbero infatti ricolmi di ogni piacere e non avrebbero mai da soffrire fisicamente o da affliggersi, nel che consiste appunto il male.

Le famose 40 massime capitali di Epicuro
Le famose 40 massime capitali di Epicuro

11. Se non ci turbasse la paura dei fenomeni celesti e quella della morte, ch’essa possa essere qualcosa che ci tocchi da vicino, e il non conoscere il confine dei piaceri e dei dolori, non avremmo bisogno della scienza della natura.

12. Non sarebbe possibile dissolvere ogni timore intorno alle cose di maggior importanza se non si sapesse quale sia la natura dell’universo, ma si vivesse in sospettoso timore delle cose che ci raccontano i miti; non sarebbe possibile cogliere i piaceri nella loro purezza senza la scienza della natura.

13. Non gioverebbe a niente il procurarsi sicurezza nei riguardi degli altri uomini finche si continuasse a nutrire timore riguardo a ciò che sta sopra di noi, o sottoterra, o in generale nell’infinito.

14. Se la sicurezza nei riguardi degli altri uomini deriva fino a un certo punto da una ben fondata situazione di potenza e ricchezza, la sicurezza più pura proviene dalla vita serena e dall’appartarsi dalla folla.

15. La ricchezza secondo natura ha confini ben precisi ed è facile a procacciarsi, quella secondo le vane opinioni cade in un processo all’infinito.

16. Poca importanza ha la sorte per il saggio, perché le cose più grandi e importanti sono governate dalla ragione, e cosi continuano e continueranno ad essere per tutto il corso del tempo.

17. Il giusto è privo in assoluto di turbamento, mentre l’ingiusto è ricolmo del turbamento più grande.

18. Non cresce il piacere della carne, ma solo subisce variazione, una volta che sia rimossa tutta la sofferenza che viene dal bisogno. Il limite dei piaceri che la ragione ci prescrive è prodotto dal calcolo razionale di questi stessi e di tutte le affezioni dello stesso tipo, che procurano all’anima i più grandi timori.

19. Un tempo illimitato contiene la stessa quantità di piacere che uno limitato, quando i confini dei piaceri si valutino con retto calcolo.

20. La carne non ammette limiti nel piacere, e il tempo che serve a procurarle tale piacere è anch’esso senza limiti. Ma il pensiero che ha appreso a ragionare intorno al fine e al limite di ciò ch’è pertinente alla carne, e che ha soppresso il timore dell’eternità, ci rende possibile una vita perfetta, per cui non sentiamo più l’esigenza di un tempo infinito: esso non rifugge dal piacere ne, quando le circostanze ci portano al momento di uscire dalla vita, può dire di andarsene avendo tralasciato qualcosa di ciò che rende questa ottima.

Aforismi celebri di Epicuro
Aforismi celebri di Epicuro

21. Chi conosce i limiti della vita, sa che è facile rimuovere il dolore che proviene dal bisogno e ottenere ciò che rende la vita perfetta; sì che non ha affatto bisogno di tendere a cose che comportino lotta.

22. Bisogna ben valutare il fine che ci è dato, e far sì di riportare tutte le nostre opinioni a una certezza evidente; o tutto quanto sarà pieno di insicurezza di giudizio e di turbamento.

23. Se ti opporrai a tutte le sensazioni, non avrai più nemmeno criteri cui riferirti e perciò neanche modo di giudicare quelle che tu dici essere errate.

24. Se rifiuterai una sensazione senza ben distinguere fra ciò ch’è dovuto a opinione, ciò che attende conferma, ciò ch’è presente con evidenza in base a sensazione o ad affezione o a un qualunque atto di intuizione rappresentativa della mente, finirai col confondere anche le altre sensazioni con opinione vana, e non riuscirai più ad usare alcun criterio di giudizio. E se nelle nozioni fondate sull’opinione tu farai valere ugualmente sia ciò che attende conferma sia ciò che non riceve conferma, non potrai sfuggire all’errore, perché non ti sarai liberato assolutamente dall’ambiguità nel giudizio circa la verità o falsità di una conoscenza.

25. Se in ogni circostanza non rapporterai la tua azione al fine secondo natura, ma, nella scelta o nel rifiuto, ti indirizzerai ad altro fine, le tue azioni non saranno in coerenza con le tue parole.

26. Tutti quei desideri che, se non esauditi, non arrecano vera sofferenza non sono necessari: il loro stimolo è tale da potersi annientare facilmente quando appaiano indirizzati a cose difficili a ottenersi, o siano tali da recare danno.

27. Di tutte le cose che la sapienza procura in vista della vita felice, il bene più grande è l’acquisto dell’amicizia.

28. La medesima persuasione che ci incoraggiò a credere che nessun male è eterno o lungamente duraturo ci fa anche ritenere che la sicurezza più grande che si attui nelle cose finite è quella dell’amicizia.

29. Dei desideri alcuni sono naturali e necessari, altri naturali e non necessari, altri ne naturali ne necessari, ma nati solo da vana opinione.

30. Fra i desideri naturali che, se non vengono soddisfatti, non danno luogo a vera sofferenza, ve ne sono di quelli in cui sussiste una forte tensione; e questi hanno origine da vana opinione: e ci è difficile dissiparli non per la loro propria natura, ma per le stolte credenze degli
uomini.

La filosofia sintetica di Epicuro
La filosofia sintetica di Epicuro

31. Il giusto fondato sulla natura 3 è l’espressione dell’utilità che consiste nel non recare ne ricevere reciprocamente danno.

32. Per tutti quegli esseri viventi che non ebbero la capacità di stringere patti reciproci circa il non recare ne ricevere danno, non esiste ne il giusto ne l’ingiusto; e altrettanto si deve dire per quei popoli che non poterono o non vollero stringere patti per non recare e non ricevere
danno.

33. La giustizia non esiste di per se, ma solo nei rapporti reciproci, e in quei luoghi nei quali si sia stretto un patto circa il non recare ne ricevere danno.

34. L’ingiustizia non è di per se un male, ma consiste nel timore che sorge dal sospetto di non poter sfuggire a coloro che sono stati preposti a punirlo.

35. Colui che fa qualcosa di nascosto contro i patti stipulati reciprocamente circa il non recare ne ricevere danno non può confidare di non essere scoperto, anche se per il presente ciò gli riesce infinite volte: non può mai sapere se riuscirà a non farsi scoprire fino alla sua morte.

36. In senso generale il giusto è uguale per tutti, in quanto è un accordo di utilità reciproca nella vita sociale; ma a seconda della particolarità dei luoghi e delle condizioni risulta che non per tutti il giusto è lo stesso.

37. Fra le cose che la legge prescrive come giuste, quella che è comprovata come utile dalle necessità dei rapporti sociali reciproci deve esser considerata come avente il requisito del giusto, sia essa la stessa per tutti o no; ma se si ponga una legge che non risulti coerente all’utilità nei rapporti reciproci, essa non possiede la natura del giusto. Se poi ciò che era utile secondo giustizia viene a decadere, pur avendo per un certo tempo corrisposto alla prenozione del giusto, ciò non vuol dire che non lo fosse durante quel tempo, se non ci si vuole turbare per vane chiacchiere ma guardare sostanzialmente ai fatti.

38. Quando, senza che siano sopravvenute nuove circostanze, le cose sancite dalla legge come giuste si rivelano nella pratica non corrispondenti alla prenozione del giusto, vuol dire che in realtà non erano giuste. M a quando, essendo sopravvenute nuove circostanze, quelle cose che erano prescritte come giuste non sono più utili, allora bisogna dire che esse sono state giuste fino a che sono state utili per la vita in comune dei cittadini, e che in seguito, quando non sono state più; utili, non sono state più nemmeno giuste.

39. Si è disposto nella maniera migliore contro il turbamento che proviene dall’esterno colui che si è reso affini le cose possibili e non del tutto estranee le impossibili. Quanto a quelle cose riguardo a cui non ha avuto nemmeno tale potere, se ne è astenuto del tutto, fondandosi su tutto ciò che è utile a tale scopo.

40. Tutti coloro che hanno avuto la possibilità di godere della massima sicurezza nei riguardi di coloro che li circondavano, vivono in comunità gli uni con gli altri nel modo più piacevole e nella più sicura fiducia; e, pur nutrendo fra loro i più stretti legami, non piangono la dipartita di quelli di loro che muoiono prematuramente, come se questi fossero da compiangere.

Epicuro la famosa lettera sulla felicità
Epicuro la famosa lettera sulla felicità

Lettera sulla felicità

Riteniamo il piacere, principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di rifiuto e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore.

Ma non scegliamo ogni piacere: talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene e giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi. Allo stesso modo riteniamo ogni dolore come male, ma non tutti sono sempre da fuggire: bisogna giudicare gli uni e gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni.

Certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero o lo avversano o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l’animo ad essere sereno.

Perché non sono di per sé stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola, che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l’animo causa di immensa sofferenza.

Consideriamo inoltre una gran cosa l’indipendenza dai bisogni, non perché sempre ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci capita di non avere molto, convinti come siamo che l’abbondanza si gode con più dolcezza se meno da essa dipendiamo.

Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d’apprensione verso i bisogni della vita, ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare un’esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e ci rende indifferenti verso gli scherzi della sorte. In fondo ciò che veramente serve non è difficile a trovarsi; l’inutile invece è difficile.

Epicuro