Il motto di spirito, e la sua relazione con l’inconscio di Sigmund Freud. Una breve introduzione.
Un grande autore come Pirandello aveva pure scoperto che l’umorismo nasce dal sentimento del contrario e scrittori come Mark Twain o J. Swift sapevano fin troppo bene che l’umorismo nasce dal dolore e costituisce, per dirla con Freud, oltre che una metodologia psichica tra le più elevate, anche una delle migliori tecniche letterarie per divertirsi e riequilibrare, perlomeno sulla carta, le tristi sorti del nostro umano destino.
Carl William Brown
Si dice che Heine abbia creato l’ultimo motto di spirito blasfemo sul suo letto di morte. Quando un amico prete gli ricordò la misericordia divina e gli diede la speranza che Dio gli avrebbe perdonato le sue colpe, si dice che egli abbia risposto: “Bien sûr qu’il me pardonnera: c’est son métier.”… Così nel morente, che giace là senza forza, nasce la coscienza di aver creato Dio e di avergli attribuito una forza in modo da servirsi di Lui quando fosse capitata l’occasione. Quello che si supponeva l’essere creato si è rivelato egli stesso, appena prima del suo annientamento, come il creatore.
Sigmund Freud
Già nell’interpretazione dei sogni del 1900 si attestano numerosi riferimenti ai motti di spirito, ai giochi di parole e al riso come scarica emozionale con funzione catarchica. Proseguendo poi nelle varie ricerche, sulla psiche, l’attività inconscia e le teorie sessuali, Freud arriva al punto di confrontare la tecnica dei motti di spirito con il lavoro onirico, ed ecco che i risultati di questa indagine si trovano nel suo libro sul motto di spirito ed il suo rapporto con l’inconscio del 1905 (Der Witz und seine Beziehung zum Unbewussten), e qui la sua riflessione assume una dimensione strutturata, tale da fare del motto di spirito una delle modalità fondamentali della presenza dell’inconscio nella porzione cosciente della vita psichica.
Il saggio sull’Humour del 1927 si occupa invece di un aspetto che era stato confinato in poche pagine nell’ultimo capitolo del testo sul Witz. Il piacere nel risparmio di dispendio veniva individuato nel sentimento, con la sospensione della partecipazione affettiva a fatti o fenomeni che avrebbero dovuto causare una grande afflizione. Si trattava allora di un meccanismo di difesa, superiore alla rimozione in quanto trionfava sull’automatismo. Nel breve scritto Freud ribadisce l’importanza di quel carattere “nobile”, grandioso dell’umorismo, che viene spiegato nei termini di un trionfo del narcisismo, nella vittoriosa affermazione dell’invulnerabilità dell’io agli attacchi esterni, dimostrando così la sua fiera vicinanza all’umorismo ebraico.
Riporterò in questi due articoli alcune riflessioni ed esempi citati da Freud, il tutto tratto dal libro in questione, senza addentrarmi ulteriormente nell’analisi del testo, che del resto è stato uno degli scritti da me utilizzati per la tesi su George Mikes e l’umorismo (I do believe with Freud, that humour is one of the highest psychical achievement and that it has certain redeeming features which put it among the great gifts of humanity. It is not all snow-white; it is not one hundred per cent beauty and bliss but, warts and all, it deserves our respect and affection. George Mikes).
Prima di cedere la parola al grande maestro voglio solo ricordare che la filosofia tradizionale aveva inglobato il motto di spirito nella categoria del comico, più vasta ed attraente, e questo a sua volta in quella ancora più ampia dell’estetica. Caratteristica della rappresentazione estetica sarebbe il puro e semplice godimento dell’idea in sé, avendo essa in se stessa la propria ragion di essere e non dovendo soddisfare alcun bisogno vitale: di fronte ad un fatto estetico l’unico atteggiamento è quello della contemplazione. Nel caso del motto di spirito la persona si troverebbe pertanto in uno stato di “scherzosa contemplazione”, accontentandosi, in altri termini, della gioia derivatagli dall’aver semplicemente udito la battuta.
In maniera del tutto diversa ed originale Freud intese il motto di spirito e cioè come un atto creativo “liberatorio” (le istanze morali volte alla repressione dei desideri inaccettabili vengono sollevate dal loro compito censorio permettendo un risparmio di energia psichica) ed il “piacere” che ne consegue è testimoniato dalla reazione del riso. Contemporaneamente, Freud esplicita alcune sue idee sul comico e sull’umorismo che hanno una funzione complementare, per comprendere meglio il nucleo della sua teoria sul Witz, Freud dichiara esplicitamente di essere giunto all’idea di occuparsi dell’arguzia per alcune significative analogie con il linguaggio del sogno, nella sua rilevanza per la neonata disciplina psicoanalitica.
In Freud, comico e Witz rispondono ad un fondo comune: un risparmio di energia psichica che provoca il piacere nella scarica. Ogni operazione psichica richiede dispendio, convogliamento e legamento di energia; il piacere del riso nasce dal risparmio di questa energia e alla sua liberazione. Un funzionamento simile a quello del motto di spirito, lo riscontriamo nel comico; ma Freud nega un rapporto fra il comico e l’inconscio, che è prerogativa del Witz. Nel caso del Witz, il risparmio di dispendio psichico è da imputare allo sbarazzarsi di un’inibizione esistente, o all’impedimento nella formazione di un nuova.
Sostanzialmente Freud in questo lavoro analizza le motivazioni e lo sviluppo del “Witz”, interpeta poi il fenomeno del “comico” e le condizioni per il suo sviluppo, passa poi a confrontarlo con il motto di spirito, la sua formazione, definizione e le varie tecniche di formazione. Freud divide i motti di spirito secondo le tecniche appunto in verbali e concettuali; secondo lo scopo in innocenti e tendenziosi; in base alla natura in triviali e profondi.
Successivamente indaga ancora sul motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio, la comicità, la creatività ed infine si sofferma sullo humour. Il libro è comunque pieno di molti esempi e citazioni, che riporterò nel secondo articolo dedicato all’argomento, e non disdegna di sottoporci alcuni brani di forte critica alle istituzioni, soprattutto ecclesiastiche e cattoliche, sempre valide anche ai nostri giorni, che ci aiutano inoltre a capire la differenza tra la nostra pigra cultura latina e la più rapida, concreta ed efficiente cultura teutonica. Vediamone un esempio:
“Un ecclesiastico cattolico si comporta piuttosto come un impiegato di un grosso ufficio. La Chiesa, la grande azienda, della quale il Papa è il capo, gli dà un lavoro sicuro e, in cambio, un salario sicuro. Egli lavora pigramente, come tutti coloro che non lavorano per se stessi, hanno numerosi colleghi e possono facilmente passare inosservati in mezzo al grande trambusto della ditta. La sola cosa che gli sta a cuore è la fiducia dell’azienda e ancora di più il non essere licenziato, poiché se fallisce perderebbe i suoi mezzi di sussistenza. Un ecclesiastico protestante, invece, è in ogni caso solo il principale di se stesso e svolge i suoi affari religiosi per il proprio esclusivo interesse. Egli, al contrario del suo collega mercante cattolico, non tratta affari all’ingrosso, ma solo ad dettaglio. E finché si dovrà arrangiare da solo, non potrà essere pigro. Dovrà pubblicizzare i suoi articoli di fede, dovrà battere la concorrenza degli altri e, vero dettagliante qual è, starà nel suo negozio di vendita al dettaglio, pieno di lavoro ed invidioso di tutte le grosse aziende e particolarmente della grande impresa di Roma, che paga i salari di tante migliaia di contabili e di imballatori ed ha le sue fabbriche in tutto il mondo.”.
Non mancano poi i veri e propri motti di spirito, comunemente chiamate barzellette o storielle divertenti, di cui anche in questo caso ne riporterò un buon numero nell’altro articolo. Ma giusto per darvene un assaggio leggiamone subito uno. “Un dottore a cui era stato chiesto di assistere una baronessa durante il parto, annunciò che il momento non era ancora giunto e propose al barone di fare nell’attesa una partita a carte nella stanza vicina. Dopo un po’ un grido di dolore della baronessa giunse alle orecchie dei due uomini: “Ah, mon Dieu, que je souffre”. Il marito balzò in piedi, ma il dottore gli fece segno di sedersi: “Non è niente. Andiamo avanti con il gioco!”. Poco dopo giunsero altre grida da parte della donna incinta: “Mein Gott, mein Gott, che terribili dolori!”. “Non andate professore?” chiese il barone. “No, no. Non è ancora tempo”. Alla fine dalla porta vicina venne un inconfondibile grido “Aa-ee, Aa-ee, Aa-ee!”. Il dottore gettò le carte ed esclamò: “Adesso è ora”.
In ogni caso io consiglierei a tutti di leggere questo libro per intero, magari non sarà il migliore della produzione freudiana, come invece sosteneva una delle mie professoresse di Letteratura inglese all’università, ma certamente, anche se la docente non si sbagliava di molto, è di sicuro il più divertente. Last but not least, non meravigliatevi più di tanto se alcuni motti non vi faranno ridere più di tanto, infatti i motti di spirito sono legati al contesto ed al periodo in cui vengono creati, così a distanza di tempo molti perdono il loro effetto, perché avranno bisogno di una spiegazione, e quindi gli verrà meno l’effetto psichico liberatorio della sorpresa.
Ecco perché gran parte dei motti di spirito in circolazione hanno vita breve, come diceva appunto Freud, questa segue un corso costituito da un periodo di fioritura e d’uno di decadenza, terminando talvolta nell’oblio completo. Perciò come ci ricorda ancora Freud “La necessità che sente l’uomo di trovare piacere nel proprio processo mentale è perciò quella di creare costantemente dei nuovi motti di spirito basati sugli argomenti del giorno. La forza vitale dei motti di spirito di attualità non è loro propria; è presa a prestito dalla dinamica allusiva degli altri interessi, il cui spirare determina anche il destino del motto di spirito. Il fattore dell’attualità è una fonte di piacere, effimera, è vero, ma particolarmente abbondante, che alimenta le sorgenti inerenti al motto di spirito stesso”.
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