Etica e filosofia. Lo scopo dell’istruzione e della filosofia coincidono: entrambe hanno come proprio fine la messa in discussione di tutto ciò che è accettato acriticamente. L’indagine del presupposto è il luogo in cui filosofia e istruzione dovrebbero incontrarsi. Se l’istruzione non sviluppa la capacità critica degli studenti, allora fallisce nel suo scopo: allo stesso modo, se la filosofia non indaga i presupposti del conoscere, perde la propria essenza.
Giacomo Lovison
Senza “cultura etica” non c’è salvezza per l’umanità.
Albert Einstein
Etica (Greco, ethiká, da ethos, “carattere”, “costume”), insieme di principi o norme che regolano la condotta umana, e per estensione lo studio di tali principi, denominato filosofia morale (dal latino mores, “costumi”). L’etica cerca di rispondere a domande come: “Quando un’azione è giusta?”, “Quando un’azione è sbagliata?” e “Qual è la natura o la norma che decide del bene e del male?”.
Tradizionalmente è considerata una scienza normativa, poiché studia le regole della condotta umana distinguendosi dalle scienze formali, come la matematica e la logica, e dalle scienze empiriche, come la chimica e la fisica.
Storia
Da quando gli esseri umani vivono insieme in gruppi, la legittimazione morale del comportamento è divenuta necessaria per la sopravvivenza di ogni comunità. Sebbene le filosofie morali venissero formalizzate in modelli sistematici di condotta, ebbero origine, talvolta irrazionalmente, da fonti diverse; determinanti furono la violazione di tabù e di dogmi religiosi, le azioni fortuite che, nel tempo divenute di uso comune, si consolidavano in costume e le leggi imposte dai capi per evitare i conflitti fra i loro sudditi. Le grandi civiltà antiche, quella egizia (vedi Antico Egitto) e quella sumera (vedi Sumeri), non svilupparono etiche sistematiche; nell’antica Cina le massime di Confucio vennero accettate come un codice morale. I filosofi greci, a partire dal VI secolo a.C., elaborarono teorie del comportamento morale, fatto che condusse alla diffusione del pensiero etico.
Etica degli antichi greci
Nel V secolo a.C. i sofisti, che insegnavano retorica, logica e teoria della politica, negarono la possibilità di individuare valori morali universali e immutabili. Nei dialoghi di Platone, Socrate si oppose al relativismo dei sofisti, sostenendo che la virtù è conoscenza e che gli uomini sarebbero virtuosi se fossero consapevoli di cosa sia la virtù; pertanto, il vizio o il male sarebbero semplicemente frutto dell’insipienza.
In seguito, alcune scuole di filosofia morale si ispirarono agli insegnamenti di Socrate. Le più importanti vennero fondate dai suoi discepoli: Platone, i cinici, i cirenaici e i megarici (scuola fondata da Euclide di Megara).
I cinici, e tra essi il filosofo Antistene, asserirono che la pratica della virtù deve condurre all’autosufficienza e a una vita “secondo natura”, vissuta cioè soddisfacendo le necessità primarie della sussistenza. I cirenaici, e tra essi Aristippo di Cirene, furono edonisti e considerarono sommo bene il piacere vissuto nella contingenza dell’istante.
Secondo Platone, il bene è il fondamento dell’essere. Nei suoi dialoghi egli affermò che la virtù umana consiste nell’adeguatezza di un individuo a esercitare nel mondo la funzione più appropriata. L’anima umana è composta di tre elementi: il razionale, l’irascibile (corrispondente alla intenzione) e il concupiscibile (corrispondente al desiderio); ognuno dei questi possiede una virtù specifica. La virtù ultima, la giustizia, è la relazione armoniosa di tutte le altre, se ogni elemento dell’anima adempie al compito a esso adeguato e mantiene il posto che gli spetta.
Aristotele, allievo di Platone, considerò la “buona vita” (eudaimonía) come lo scopo dell’etica. Nell’Etica nicomachea (tardo IV secolo a.C.), egli definì la felicità come un’attività in armonia con la natura essenziale dell’umanità, la ragione. Aristotele riteneva che le virtù fossero essenzialmente buone abitudini e che, per conseguire la felicità, una persona dovesse coltivare la conoscenza, che conduce alla più elevata delle attività umane: la contemplazione. Le virtù morali sono consuetudini di azione che si conformano al “giusto mezzo”, il principio di moderazione; in generale, Aristotele definisce il giusto mezzo come lo stato virtuoso tra i due estremi dell’eccesso e dell’insufficienza. Circa l’origine dell’Etica Aristotele ne attribuisce il merito a Socrate: in un’epoca di crisi dei valori, contro il relativismo dei sofisti, sia Socrate che Platone infatti rivendicavano una concezione assoluta del bene e dei valori morali.
Stoicismo
La filosofia dello stoicismo si affermò intorno al 300 a.C. In Grecia i più importanti filosofi stoici furono Zenone di Cizio, Cleante e Crisippo.A Roma i suoi rappresentanti più illustri furono il filosofo greco Epitteto e l’imperatore e filosofo Marco Aurelio. Secondo gli stoici la natura è strutturata razionalmente, e soltanto una vita condotta in armonia con la natura può essere buona; tuttavia, ognuno dovrebbe rendersi il più possibile indipendente dalle circostanze materiali. La pratica delle virtù, quali la saggezza, il coraggio, la discrezione e la giustizia, porrebbe l’individuo in grado di raggiungere l’indipendenza dello spirito espressa dal motto stoico: “resisti e rinuncia”. In seguito, la parola “stoicismo” venne quindi a significare fermezza di fronte alle avversità.
Epicureismo
Nel IV e III secolo a.C., il filosofo greco Epicuro concepì un sistema di pensiero, che identificava il sommo bene con il piacere, inteso come una condizione di serenità intellettuale e di assenza di turbamento; come lo stoicismo, esso proponeva una vita quasi ascetica, consacrata alle attività contemplative. Il principale esponente latino dell’epicureismo fu Lucrezio, il cui poema De rerum natura (La natura delle cose), scritto verso la metà del I secolo a.C., combinava idee tratte dalla fisica del filosofo greco Democrito con altre tratte dall’etica e dalla cosmologia di Epicuro.
Etica cristiana
Nella concezione cristiana l’individuo è dipendente da Dio e non può ottenere il bene soltanto per mezzo della volontà o dell’intelligenza, ma necessita anche della grazia divina. Il principale articolo di fede dell’etica cristiana è enunciato nella regola aurea: “Qualsiasi cosa desideri venga fatta a te, falla a loro” (Matteo 7:12); nell’ingiunzione di amare il prossimo come se stessi (vedi Levitico 19:18) e di amare i propri nemici (Matteo 5:44); e nell’affermazione di Gesù “Rendi dunque a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio” (Matteo 22:21). L’etica cristiana si concentra sul rapporto dell’etica con la salvezza, cioè con la costruzione della città celeste.
Etica dei Padri della Chiesa
Un evento che contribuì al rafforzamento dell’etica cristiana fu la lotta contro il manicheismo, una religione dualistica di origine persiana. Sant’Agostino, era originariamente un manicheo, ma si convertì al cristianesimo dopo essere stato influenzato dal pensiero di Plotino e dall’insegnamento di sant’Ambrogio. Agostino cercò di integrare la concezione platonica con il concetto cristiano della bontà come attributo di Dio e del peccato come caduta di Adamo, dalla cui colpa l’uomo è redento dalla Grazia di Dio. Dato che Dio, l’essere supremo, è necessariamente buono e sta a fondamento di ogni cosa, il male non esiste in sé ma è considerato come una privazione di essere, così come il buio è privazione di luce.
Nel tardo Medioevo le opere di Aristotele, rese disponibili grazie a testi e commentari di eruditi arabi, esercitarono una forte influenza sul pensiero dell’Occidente latino. L’aristotelismo, dal momento che dava rilievo alla conoscenza empirica in contrasto con la rivelazione, minacciava l’autorità intellettuale della Chiesa. San Tommaso d’Aquino, tuttavia, riuscì a conciliare l’aristotelismo con la dottrina cattolica, riconoscendo dignità epistemica all’esperienza sensibile, ma sostenendo che essa era complementare alla verità di fede.
L’etica protestante
L’influenza delle concezioni etiche cristiane diminuì nel corso del Rinascimento. La Riforma protestante invocò un ritorno ai principi originari della tradizione cristiana. Secondo Martin Lutero la bontà dello spirito è l’essenza della pietà cristiana: la condotta morale (o buon operato) deve essere un requisito di ogni credente, ma la giustificazione, o salvezza, avviene grazie alla sola fede.
Giovanni Calvino accettò la dottrina teologica secondo la quale la giustificazione dell’azione morale avviene grazie alla sola fede, e sostenne inoltre la dottrina agostiniana del peccato originale. I puritani aderirono alla difesa di Calvino della sobrietà, della diligenza e della frugalità. Essi considerarono la vita contemplativa come pura pigrizia, e la povertà come punizione per un peccato o come prova che non si gode della Grazia di Dio. Convinti del fatto che solo gli eletti potevano aspettarsi la salvezza, essi considerarono la prosperità come un segno dell’elezione.
In generale durante la Riforma la responsabilità individuale venne considerata più importante dell’obbedienza all’autorità o alla religione. Questo mutamento condusse indirettamente alla nascita della moderna etica secolare, come si può osservare nel De iure belli ac pacis (1625) di Ugo Grozio. Sebbene l’opera aderisca ad alcune dottrine di san Tommaso d’Aquino, essa tratta i diritti politici e civili dei cittadini nello spirito dell’antica legge romana, sostenendo che il diritto naturale è un fondamento della società stessa.
Nel Rinascimento nasce inoltre la concezione di un’etica laica, profondamente realistica, tesa a definire temi come la libertà, l’impegno concreto nel mondo e via dicendo, ma anche portata a concepire l’etica nel quadro del meccanicismo della scienza moderna, come dimostrano i lavori di Cartesio e di Hobbes, che si concluderà poi nell’etica utilitaristica dell’empirismo prima e dell’illuminismo poi.
L’età moderna
Nel Leviatano (1651) il filosofo inglese Thomas Hobbes conferì grande importanza alla società organizzata e al potere politico, dimostrando che la vita umana nello “stato di natura” (precedente l’istituzione di un ordinamento politico) è “solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve”, dominata da “una guerra di tutti contro tutti”. Di conseguenza, l’uomo cerca sicurezza entrando a far parte di un contratto sociale in cui il potere originario di ogni individuo è ceduto a un sovrano che ne regola la condotta.
Le dottrine di Hobbes influenzarono il pensiero di John Locke. Nei Due trattati sul governo (1690) Locke, tuttavia, asserì che il fine del contratto sociale è diminuire il potere assoluto dell’autorità e promuovere la libertà e la sicurezza individuali.
La ragione umana è il criterio che regola la condotta morale nel sistema elaborato da Baruch Spinoza. Nella sua opera più importante, l’Ethica more geometrico demonstrata (pubblicata dagli amici del filosofo nel 1677 dopo la sua morte), Spinoza costruì una metafisica utilizzando il metodo assiomatico-deduttivo e asserì che, sebbene tutto sia moralmente neutro dal punto di vista dell’eternità, è ragionevole supporre che qualsiasi cosa i popoli abbiano in comune sia il meglio per ciascuno di essi, e che il bene che gli individui dovrebbero desiderare per gli altri è il bene che essi desiderano per se stessi. La condizione umana più nobile, secondo Spinoza, è l'”amore intellettuale di Dio”.
Scienza ed etica
Le scoperte scientifiche dell’età moderna sortirono effetti pervasivi sull’etica. Le teorie di Isaac Newton offrono uno dei primi e più evidenti esempi di tale tendenza. Le leggi di Newton vennero generalmente assunte come prova del fatto che l’ordine del cosmo è razionale. Le sue scoperte indussero i filosofi ad accrescere la fiducia in un sistema etico fondato esclusivamente sulla razionalità.
Jean-Jacques Rousseau, nell’Emilio (1762), attribuì invece il male al disadattamento sociale reputando gli esseri umani buoni per natura. La sua opera fu assai importante per la formazione dell’atteggiamento etico e ideologico dei principali esponenti europei della letteratura romantica.
Un notevole contributo all’etica venne offerto da Immanuel Kant nella Fondazione della metafisica dei costumi (1785) e nella Critica della ragion pratica (1786). Kant non si interessa dei contenuti ma solo della forma della legge morale che è l’imperativo dettato dalla ragione, per il suo rigorismo, secondo il quale solo l’azione compiuta per dovere, senza interferenza di motivazioni empiriche, è morale. Morale questa di tipo deontologico, opposta all’eudemonimso dei Greci. Secondo Kant i risultati delle azioni umane sono soggetti al caso e alla contingenza; pertanto, la moralità di un atto non deve essere valutata in base alla sua conseguenza, ma unicamente per la sua motivazione. L’intenzione soltanto è buona, poiché spinge una persona ad agire non per un’inclinazione ma per un dovere, che è fondato su un principio generale che è giusto in se stesso. Come principio morale ultimo, Kant riafferma la regola aurea in forma logica: “Agisci come se il principio su cui si fondano le tue azioni dovesse diventare per tua volontà una legge universale di natura”; questa regola è definita imperativo categorico, poiché è assoluta e cogente. Kant inoltre insiste sul fatto che si devono trattare gli altri “in ogni caso come un fine, e mai soltanto come mezzi”.
Etica hegeliana
Il filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel nei Lineamenti della filosofia del diritto (1821) elaborò una filosofia della storia in cui il divenire è considerato come una successione di momenti regolati dalla dialettica, i quali conducono verso l’autocoscienza di una realtà fondamentale (lo spirito) che è sia spirituale sia razionale. La moralità, secondo Hegel, non è il risultato di un contratto sociale, ma una sorta di processo di crescita naturale, che viene alla luce nella società civile e culmina nello stato. “La storia del mondo”, scrisse, “è la disciplina della volontà naturale incontrollata, del suo ricondurre all’obbedienza a un principio universale e del suo conferire libertà individuale”.
Il filosofo Søren Kierkegaard reagì energicamente contro il sistema hegeliano. In Aut aut (1843), Kierkegaard manifestò il suo principale interesse etico sul problema della scelta. Egli affermava che un sistema filosofico come quello hegeliano pone in ombra questo problema cruciale facendo apparire l’etica come una disciplina oggettiva piuttosto che come un campo soggettivo che ogni persona deve affrontare individualmente. La scelta individuale di Kierkegaard fu quella di vivere entro la cornice dell’etica cristiana. Nel Novecento il suo pensiero influenzò i filosofi dell’esistenzialismo.
Le trasformazioni sociali dovute allo sviluppo tecnologico e scientifico influenzarono notevolmente l’etica nel corso dell’Ottocento. Il filosofo francese Auguste Comte stabilì il primato della morale rispetto alla politica, insistendo sul carattere altruistico dell’etica e sulla sua derivazione dalla sociologia, intesa come un sistema di conoscenze adatte alla società industriale.
La ricostruzione della morale su basi umanitarie era stata avviata anche dal filosofo inglese Jeremy Bentham, fondatore dell’utilitarismo; egli considerava l’azione morale in base alle sue conseguenze: sul piano individuale il piacere e il dolore costituiscono il criterio di valutazione decisivo, mentre sul piano sociale pubblico il criterio è determinato dal “calcolo” del maggior bene possibile per tutti.
Un’integrazione dell’utilitarismo di Bentham fu proposta dal filosofo inglese John Stuart Mill, secondo il quale bisogna considerare, accanto all’impulso egoistico, anche un sentimento morale disinteressato.
Un altro impulso al rinnovamento della morale fu dato dalla teoria delineata da Charles Darwin in Sull’origine della specie per mezzo della selezione naturale (1859). Le scoperte di Darwin fornirono un supporto scientifico al sistema, denominato “etica evoluzionistica”, proposto dal filosofo britannico Herbert Spencer, secondo il quale la moralità consiste unicamente nel risultato di alcune abitudini acquisite dall’umanità nel corso dell’evoluzione. Una rielaborazione della tesi darwiniana, secondo la quale la sopravvivenza del più adatto è una legge di natura fondamentale, venne avanzata dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, che riteneva che la morale cristiana fosse necessaria unicamente per salvaguardare i deboli. La condotta morale – specialmente quella propugnata dall’etica ebraica e cristiana – ha lo scopo di permettere al debole di impedire al forte la realizzazione di sé. Secondo Nietzsche, ogni azione dovrebbe invece essere finalizzata alla creazione di un individuo superiore, che sarà in grado di rendere vere le più nobili possibilità di vita.
Psicoanalisi e comportamentismo
L’etica moderna è stata profondamente influenzata dalla psicoanalisi di Sigmund Freud e dei suoi seguaci e dalle dottrine comportamentiste basate sulle scoperte del fisiologo russo Ivan Pavlov relative al riflesso condizionato. Freud attribuì il problema del bene e del male presente in ogni individuo alla lotta tra la pulsione del sé istintuale a soddisfare tutti i propri desideri, e la necessità del sé sociale di controllare o reprimere la maggior parte di questi impulsi, affinché l’individuo possa ricoprire una funzione nella società. Benché l’influenza di Freud non sia stata completamente assimilata nel pensiero etico, la psicologia freudiana del profondo ha mostrato che il senso di colpa, spesso di natura sessuale, è sotteso a buona parte del pensiero sul bene e sul male.
Il comportamentismo, grazie all’osservazione del comportamento animale, ha consolidato la fiducia nella possibilità di mutare la natura umana stabilendo condizioni favorevoli ai mutamenti desiderati. Nel corso degli anni Venti, il comportamentismo venne ampiamente accettato negli Stati Uniti, principalmente nelle teorie pedagogiche.
Tendenze contemporanee
Il filosofo britannico Bertrand Russell, critico spietato della morale convenzionale, sostenne che i giudizi morali esprimono desideri individuali o abitudini accettate. Nel suo pensiero, tanto la figura dell’asceta quanto quella del saggio distaccato dal mondo rappresentano modelli perché sono esseri umani incompleti: gli esseri umani completi partecipano pienamente alla vita della società ed esprimono ogni aspetto della loro natura. Alcuni impulsi devono venire controllati nell’interesse della collettività e altri nell’interesse dello sviluppo individuale, ma sono una crescita individuale relativamente libera e una naturale realizzazione di sé che favoriscono una vita buona e una società armoniosa.
I filosofi del XX secolo si sono concentrati sui problemi dell’opzione etica individuale sollevati da Kierkegaard e Nietzsche. L’orientamento di alcuni è religioso, come quello del russo Nikolaj Alexandrovic Berdjaev, che diede rilievo alla libertà dello spirito individuale; di Martin Buber, che si interessò alla moralità delle relazioni tra gli individui; del teologo protestante tedesco Paul Tillich, che sottolineò il coraggio di essere se stessi; del filosofo e drammaturgo francese Gabriel Marcel e di Karl Jaspers, che si occuparono entrambi dell’unicità dell’individuo e dell’importanza della comunicazione. Una tendenza differente nel pensiero etico moderno caratterizza gli scritti dei filosofi francesi Jacques Maritain e Etienne Gilson, che si ispirarono alla tradizione di san Tommaso d’Aquino.
Altri filosofi moderni non accettarono nessuna delle religioni tradizionali. Martin Heidegger asserisce che non esiste alcun Dio, sebbene un Dio possa essere nel futuro. Gli esseri umani sono dunque soli nell’universo e devono prendere le loro decisioni etiche nella consapevolezza costante della morte. Il filosofo francese Jean-Paul Sartre fu anch’egli un ateo che pose l’accento sulla consapevolezza della morte affermando che l’uomo ha una responsabilità etica che lo coinvolge nelle attività politiche e sociali del suo tempo.
La discussione filosofica contemporanea sull’etica ha avuto un seguito negli scritti di George Edward Moore, specialmente nei suoi Principia Ethica (1903). Moore argomentava che i termini etici sono definibili nei limiti della parola “buono”, mentre “buono” è indefinibile. Ciò accade perché la bontà è una qualità semplice, inanalizzabile. I filosofi che sono in disaccordo con Moore in proposito, e che credono che “buono” sia definibile, sono denominati “naturalisti”, mentre Moore è definito “intuizionista”. Naturalisti e intuizionisti considerano le proposizioni etiche come proposizioni che descrivono il mondo, dunque vere o false. Contro questa posizione, alcuni filosofi sostengono che l’etica non è una forma di conoscenza, e il linguaggio etico non è descrittivo. Sulla base di questi assunti, alcuni esponenti dell’empirismo logico hanno sostenuto che gli enunciati etici abbiano solo un significato emotivo o persuasivo.
Nel Novecento l’etica italiana si è confrontata spesso con il tradizionalismo cattolico, sfociando da un lato nell'”idealismo trascendente” di Piero Martinetti, contrario a ogni istituzione religiosa determinata, e dall’altro nella critica dell’ateismo di Augusto del Noce. Altri pensatori, muovendosi nella linea dell’idealismo e del marxismo hanno invece elaborato una teoria “laica” dell’etica. Secondo Benedetto Croce la morale è una categoria dell’attività pratica dello spirito e quindi, in quanto si rivolge alla volizione dell’universale, è una ricerca del bene non distinto dall’utile. Antonio Gramsci e altri filosofi marxisti, come Antonio Banfi e Galvano della Volpe, hanno invece risolto l’etica nella prassi politica, individuando nella trasformazione radicale della cultura e della morale la via d’accesso per una nuova società civile.
Per approfondire l’argomento potete anche leggere: