Filosofare per rimanere calmi, rafforzare il controllo delle proprie emozioni attraverso il pensiero dei grandi saggi del passato, che con le loro riflessioni hanno aiutato la nostra umanità per decine e decine di secoli.
Filosofare è un atto della mente umana che implica una solida fiducia nelle possibilità del pensiero di interpretare e conoscere la realtà che ci circonda, è un modo tra i più antichi ed efficaci per apprendere ed immaginare nuove soluzioni ai problemi dell’esistenza, è la metodologia che ha fatto nascere il pensiero etico e scientifico, ma è anche una delle principali tecniche che ci può aiutare a sopportare il peso e le sfide della nostra povera umanità, adottando di volta in volta i comportamenti migliori e le scelte più opportune, per rimanere calmi e risolvere nel modo più vantaggioso i problemi che la natura da sempre ci sottopone.
Una concezione di fondo dei Greci è che la filosofia sia “un’arte del vivere”, ovvero detto in un altro modo una tecnica di pensiero che ci può aiutare a sopportare il peso dell’esistenza, osservando la realtà che ci circonda e venendo a patti con essa, con le sue difficoltà e la sua complessità, cercando al tempo stesso di trovare delle soluzioni, dei rimedi, dei trucchi per poter vivere meglio, con più serenità. Da questa strategia della mente nasce perciò ogni forma di cultura, di conoscenza, di critica, di tecnica e di sapere in generale, rendendoci soprattutto consapevoli dei nostri limiti, dei nostri doveri, delle nostre aspirazioni, e delle nostre funzioni all’interno del vivere in comunità.
Come ho sempre infatti sostenuto, gli antichi pensatori avevano già capito tutto dell’animo umano, e conoscevano bene anch’essi quell’ansia, quel disagio, quell’insoddisfazione che turbavano l’anima, o comunque il nostro cervello, alla radice, anche senza delle precise e specifiche ragioni.
Il rimedio proposto da Seneca è un “atarassia” di segno positivo, non apatia o indiffrenza del cuore, ma accettazione del fatto che le passioni, come il dolore, sono una legge della natura umana, e quindi serve una benevola comprensione di chi ne è vittima. Grazie così alla ricerca di una nuova spiritualità, che contrasti le forme di convivenza dell’epoca basate sulla legge del più forte e sull’odio, il messaggio di Seneca prepara di fatto il terreno al seme del Cristianesimo.
La felicità non consiste negli armenti e neppure nell’oro: l’anima è la dimora della nostra sorte.
Democrito
La via di mezzo è sempre la migliore: ogni eccesso conduce alla rovina.
Plauto
Animum debes mutare, non caelum.
È l’animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi.
Seneca
Nessun uomo è abbastanza saggio da solo.
Plauto
La calamità è l’opportunità della virtù.
Seneca
La saggezza non si acquista per l’età, ma per la capacità.
Plauto
Non abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà.
Seneca
Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire.
Seneca
Se sei contento, hai abbastanza per vivere bene.
Plauto
Molti imparano non per la vita ma per la scuola.
Seneca
Ma non serve a nulla aver eliminato le cause della tristezza personale, perché talvolta ci assale l’odio per il genere umano quando vediamo il numero enorme di delitti rimasti impuniti. Se pensiamo quanto sia rara l’onestà, la rettitudine quasi sconosciuta, la lealtà inesistente (se non quando porta un vantaggio); se pensiamo che la corruzione offre la possibilità di guadagni tanto odiosi quanto le perdite, e l’ambizione è così dilagante da voler risplendere per mezzo della disonestà, allora nel nostro animo scende la notte e, quasi fossero scomparse tutte le virtù che non offrono più né speranza né utilità, ci sentiamo invasi dalle tenebre.
Allora siamo indotti a ritenere tutti i vizi umani non odiosi, ma ridicoli, e a imitare Democrito piuttosto che Eraclito: questi, ogni volta che usciva in pubblico, piangeva, l’altro rideva; all’uno tutte le azioni sembravano miserie, all’altro sciocchezze.
Bisogna dunque non dare molta importanza alle cose e sopportarle con animo benevolo: si addice di più alla natura umana il riso che il pianto. Merita maggior riconoscenza chi ride rispetto a chi piange sul genere umano; quello infatti gli lascerà ancora qualche speranza, questo invece, stoltamente, si dispera per cose che non crede di poter migliorare.
Considerando le cose nel loro insieme, chi non frena il riso mostra maggiore forza d’animo di chi non trattiene il pianto; perché è proprio di uno spirito equilibrato non trovare, nella commedia umana, nulla di importante, serio o deplorevole. Esaminiamo le ragioni per cui siamo lieti o tristi e scopriremo quanto è vero il detto di Bione: «Tutte le azioni degli uomini sono pallidi tentativi e la loro vita non ha più valore o importanza di quella di un embrione».
Ma è meglio accettare con buona pace dell’anima la pubblica moralità e i difetti umani senza cadere né nel riso né nel pianto, perché tormentarsi per i mali altrui vuol dire condannarsi a una perpetua infelicità, rallegrarsene condannarsi a un piacere disumano. Come è inutile pietà piangere perché uno seppellisce il figlio e adattare il viso alle circostanze, così anche nelle proprie sventure bisogna concedere al dolore quanto vuole la natura, non quanto esige la consuetudine.
I più piangono per farsi notare e smettono quando non c’è più nessuno che li vede, perché ritengono sconveniente non piange-re quando tutti piangono: tanto è profondamente radicato il male di lasciarsi condizionare dagli altri che anche il sentimento più naturale, come il dolore, diventa una finzione.
C’è poi un altro motivo che, non a torto, rattrista il nostro spirito e lo getta nell’inquietudine, quando vediamo che fine tragica fanno i buoni: Socrate costretto alla morte in carcere; Rutilio a vivere in esilio; Pompeo e Cicerone a farsi uccidere dagli uomini del proprio seguito; Catone, esempio vivente di virtù, a denunciare pubblicamente, gettandosi sulla spada, la propria rovina e quella della Repubblica.
E’ inevitabile chiedersi angosciati perché la sorte paghi compensi così ingiusti. Che cosa potremo aspettarci quando vediamo che i migliori subiscono le sorti peggiori? Che cosa significa ciò? Osserva in che modo ognuno di essi ha sopportato il suo destino e, se si comportarono da forti, rimpiangili con la loro stessa forza d’animo, se invece morirono da deboli e vili, nulla si è perduto con la loro morte.
Essi o sono degni di essere ammirati per la loro grandezza, o sono indegni di essere ricordati per la loro viltà. Che cosa potrebbe esserci di più turpe se gli uomini più grandi, con la loro morte coraggiosa, rendessero gli altri deboli? Elogiamo chi, per molte ragioni, è degno di lode, e diciamo: “Che uomo forte! Che uomo felice! Sei sfuggito a tutte le sventure, all’invidia, alle malattie. Sei uscito come da una prigione.
Gli dei non hanno pensato che tu non meritassi la cattiva sorte, ma piuttosto che il destino nulla potesse contro di te”. Quelli invece che vorrebbero sottrarsi al proprio destino e nel momento stesso della morte si volgono a guardare alla vita, costoro vi dovreb-bero essere spinti a viva forza. Non piangerò mai chi è felice, né chi è triste: l’uno asciuga le mie lacrime, l’altro con le sue lacrime si è reso indegno di qualsiasi compianto. Dovrei piangere Ercole perché si è bruciato vivo o Regolo perché si è fat-to trafiggere dai chiodi o Catone perché fece stra-zio delle sue ferite? Tutti costoro, con il sacrificio di una piccola parte della loro vita, divennero eterni e raggiunsero l’immortalità.
Seneca La tranquillità dell’anima
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Principi di Daimonologia applicata