I pensieri di Leopardi, idee, riflessioni, pensieri di varia filosofia e di bella letteratura di Giacomo Leopardi, ovvero lo Zibaldone di pensieri.
Quando l’uomo non ha sentimento di alcun bene o male particolare, sente in generale l’infelicità nativa dell’uomo, e questo è quel sentimento che si chiama noia.
Giacomo Leopardi
Il passato, a ricordarsene, è più bello del presente, come il futuro a immaginarlo.
Perché? Perché solo il presente ha la sua vera forma nella concezione umana; è la sola immagine del vero; e tutto il vero è brutto!
Giacomo Leopardi
Grande tra gli uomini e di gran terrore è la potenza del riso: contro il quale nessuno nella sua coscienza trova se munito da ogni parte. Chi ha coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire.
Giacomo Leopardi
Nel 1845 il Ranieri pubblicò una raccolta di 111 pensieri, che il Leopardi aveva lasciata incompiuta. Era quasi certamente il nucleo essenziale di una sorta di manuale di “filosofia pratica”, condensata in massime. Il poeta ci aveva pensato a lungo e in una lettera a Pietro Coletta aveva rivelato la sua intenzione di comporre una raccolta di pensieri intitolata Paradossi, ispirata al carattere degli uomini e alla loro condotta in società. Il titolo evidenzia intrinsecamente il carattere delle meditazioni leopardiane, intese a definire il “vero”, lasciando perdere gli involucri e i simulacri delle illusioni fallaci e menzognere in cui vivono immersi gli esseri umani, vuoi per ignoranza o per indolenza, sia per la propria stupidità o per la mancanza di un forte coraggio civile, logico, culturale e spirituale. Molti di questi pensieri sono una nuova redazione, ancora più incisiva e concentrata, di quelli delle pagine dello Zibaldone, altri invece sono totalmente nuovi. In ogni caso, tutti appaiono comunque come una reale sintesi delle svariate esperienze spirituali e intellettuali della vita del poeta. Lo stile e il tono distaccato, oggettivo, che a molti potrebbe sembrare freddo e un poco misantropo, ci mostrano le illusioni dell’esistenza ormai situate in un ambito remoto, e attraverso questo disincanto si fa strada l’amarezza e l’eco dolente del disinganno, non disgiunto da un atteggiamento satirico e polemico contro il secolo XIX e le sue vane speranze.
Allo Zibaldone il Leopardi affidò dal 1817 al 1832 e quasi giornalmente dal ’17 al ’27, note, appunti e trattazioni più ampie intorno a disparati argomenti: osservazioni linguistiche, filologiche e di critica letteraria, meditazioni intorno all’estetica, o per meglio dire, alla definizione della sua poetica, e ancora osservazioni psicologiche e morali su se stesso e sugli altri, risonanze profonde di ricordi, sensazioni e sentimenti, ma soprattutto la sua filosofia, ovvero le sue considerazioni e i suoi ragionamenti lucidi, spietati e appassionati sulla vita in generale. Lo stile è asciutto, rapido, conciso, e non mancano nell’opera, un vero capolovoro quasi misconosciuto in tutta Europa, immagini, versi isolati, spunti e argomenti di poesie, fantasie e pensieri, alcuni dei quali ritornano soprattutto nei Canti e nelle Operette morali.
Il titolo deriva dalla caratteristica della composizione letteraria, in quanto mistura di pensieri, come per l’omonima vivanda emiliana che è costituita da un amalgama vario di molti ingredienti diversi; il termine può essere utilizzato per descrivere un mucchio confuso di persone. Il vocabolo era conosciuto anche prima in un’accezione non dissimile, ovvero di raccolta disordinata di pensieri, testi e concetti. Tuttavia dopo la composizione di Leopardi il termine è usato universalmente per indicare annotazioni su quaderni o diari, di pensieri sparsi. “Zibaldone” può essere usato anche in modo dispregiativo per discorsi o scritti senza filo logico, disordinati, fatti di idee eterogenee e costituisce per il poeta il vero cantiere e l’operosa officina delle opere maggiori. Dopo la morte del poeta (nel 1837) il manoscritto era rimasto presso l’amico Antonio Ranieri il quale lo tenne per oltre mezzo secolo con altre carte, lasciandolo in un baule a sua volta finito in eredità a due donne di servizio. Dopo la morte di Ranieri e un processo per stabilirne la proprietà, gli studiosi poterono finalmente avere accesso all’autografo che è oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Questa incredibile produzione ci permette di scrutare il travaglio formativo, creativo e geniale del grande poeta, che giorno per giorno annota le sue osservazioni e riflessioni, scrivendo la data precisa dei singoli pensieri, tanto che il libro diventa un vero e proprio diario culturale e spirituale che ci consente di seguire il continuo colloquio del poeta con se stesso e le sue confidenze con il pubblico immaginario dei suoi lettori, in pratica un vero e proprio antesignano di altri tempi dei modernoi blogs dei nostri giorni. Lo Zibaldone costituisce così una specie di intima storia dell’anima del poeta, che si potrà poi ritrovare in tutta la produzione del grande autore. Tra luglio e ottobre del 1827 Leopardi stesso ne redasse un indice tematico, ovviamente incompleto, visto che continuò a scriverlo fino al 4 dicembre 1832. Lo Zibaldone, venne infatti pubblicato postumo per la prima volta in sette volumi, durante il triennio 1898-1900 da una commissione di studiosi presieduta da Giosuè Carducci con il titolo Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura dall’editore Le Monnier.
La morte non è male; perché libera l’uomo da tutti i mali, e insieme coi beni gli toglie i desideri. La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta con seco tutti i dolori. Nondimeno gli uomini temono la morte, e desiderano la vecchiezza.
Giacomo Leopardi
Nessun maggior segno d’esser poco filosofo e poco savio, che volere savia e filosofica tutta la vita.
Giacomo Leopardi
Gli anni della fanciulezza sono, nella memoria di ciascheduno, quasi i tempi favolosi della sua vita, come, nella memoria delle nazioni, i tempi favolosi sono quelli della fanciullezza delle medesime.
Giacomo Leopardi
Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità… Non gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi…
Giacomo Leopardi
La mia filosofia, non solo non è conducente alla misantropia, ma discolpando gli uomini totalmente fa rea di ogni cosa la natura e rivolge l’odio, o se non altro il lamento, al principio più alto, all’origine vera dei mali dei viventi.
Giacomo Leopardi
Due gran dubbi mi stanno in mente circa le belle arti. Uno se il popolo sia giudice ai tempi nostri dei lavori di belle arti. L’altro se il prototipo del bello sia veramente in natura, e non dipenda dalle opinioni e dall’abito che è una seconda natura. Della prima quistione se mi verrà in mente qualche pensiero lo scriverò poi: della seconda, osservo che a noi par conveniente a un soggetto (e la bellezza sta tutta si può dire nella convenienza) quello che siamo assueffatti a vederci, e viceversa sconveniente ec. e però ci par bello quello che ha queste tali cose e brutto o difettoso quello che non le ha: benchè in natura non debba averle o viceversa. P.e. ci par deforme una certa razza di cani quando ha l’orecchie non tagliate ec. potenza della moda specialmente intorno alla bellezza delle donne ec. Mi pare che in natura non ci siano quasi altro che i lineamenti del bello, come sono l’armonia la proporzione e cose tali che secondo il solo lume naturale debbono trovarsi in ogni cosa bella: e che l’ombreggiare gli oggetti belli dipenda tutto dalle nostre opinioni. Per questo si possono addurre infiniti esempi. E li distinguo in due classi: l’una di quelli che provano la diversità di opinioni intorno agli oggetti in natura; l’altra ec. intorno agli oggetti nell’imitazione ossia nelle belle arti.
Giacomo Leopardi