La durata degli investimenti, un articolo che analizza la variabile temporale degli investimenti azionari e alcuni casi di azioni quotate nei principali mercati americani.
In Borsa bisogna investire per un tempo sufficientemente lungo. E il denaro da destinare alle azioni non deve servire a breve termine alla famiglia. Da considerare inoltre che il tempo è una variabile importante, ma da sola non basta a decretare il successo dei propri investimenti.
Quando si dispone di una somma di denaro che non dev’essere destinata ai consumi o quando è possibile sottrarre una fetta delle entrate alle spese di ogni giorno, e queste risorse restano disponibili per alcuni anni, allora le azioni diventano una soluzione da valutare. Sempre con cautela. In questi casi, infatti, il punto di partenza è capire se esista una tipologia d’investimento “asset class” che, almeno su archi di tempo molto lunghi, abbia la probabilità più alta di produrre il guadagno migliore anche in futuro.
E poiché, per usare una frase del grande investitore Warren Buffet, “Nel mondo delle borse lo specchietto retrovisore è sempre più nitido del parabrezza”, la storia viene in una variabile soccorso di chi deve svelare l’arcano. Scorrendo il passato degli investimenti finanziari, è facile convincersi che le azioni, su intervalli di tempo lunghissimi, possono offrire molto e, talvolta, anche più di ogni altra cosa.
Può trattarsi, però, di un’illusione ottica. Il tempo e l’attesa da soli non bastano. Vediamo perché. Quest’affermazione è figlia di alcuni studi empirici, tra i quali il libro del professor Jeremy Siegel, “Stocks for the long run”, rimane insuperato, anche se, dopo l’ultimo decennio, piuttosto malconcio. Siegel, nei panni del geologo dei mercati finanziari, ha esplorato interminabili gallerie, lunghe oltre 200 anni, di dati sulla Borsa, sui tassi d’interesse e su altre variabili finanziarie americane, arrivando ad affermare che, in media, le azioni hanno remunerato il capitale investito con un rendimento annuale vicino al 7,0% reale, cioè al netto dell’inflazione. Anche le ricerche della lbbotson Associates (società specializzata nella costruzione e nella gestione di portafogli d’investimento) su questo tema non sono meno interessanti, sebbene si basino su serie di dati che iniziano solo nel 1926.
Numeri tanto allettanti non possono che alimentare l’idea di concedere senza remore la propria fiducia agli investimenti azionari diversificati, limitandosi ad attendere con pazienza. I frutti arriveranno, praticamente, da soli. Le crisi delle borse, i mercati Orso, le correzioni degli indici e tutte le altre forme di tempeste finanziarie che possono venirci in mente o che abbiamo sperimentato in passato non solo non devono spaventarci, ma vanno colte come provvidenziali occasioni d’acquisto di merce di buona qualità in saldi, infatti il mercato può offrire occasioni estremamente interessanti proprio quando ha un pessimo aspetto. L’analisi del professor Siegel si riferisce essenzialmente alla Borsa americana. II “Global Investment Return Yearbook” di Credit Suisse ha dimostrato, invece, che tra il 1900 e il 2008 il rendimento reale medio dell’investimento azionario in Europa sarebbe stato di poco superiore al 4%.
Ripercorrendo quest’analisi, si può fare un altro esperimento, seppure in modo più artigianale, applicandolo all’intera vita (dicembre 1969 – dicembre 2010) dell’indice Morgan Stanley delle borse mondiali, espresso in valuta locale: in questo modo le performance ottenute non sono state influenzate dall’andamento dei tassi di cambio. Partendo dal dicembre 1969, si immagini che ogni mese abbiano avuto inizio quattro investimenti, rispettivamente con durata di 1, 5, 10 e 20 anni. Al 30 novembre del 2010, ideale capolinea di questa prova di laboratorio, si sono poi analizzati i dati dei risultati ottenuti dai 480 investimenti con durata di un solo anno; dai 432 con durata di 5; dai 372 a 10 e dai 252 con scadenza dopo 20 anni.
Il valore scientifico di questa verifica è modesto, ma essa ha il pregio di mettere in luce con immediatezza i pro e i contro dell’investimento in azioni, come pure le condizioni entro le quali può essere utile destinare, almeno in parte, i propri risparmi alle borse e quelle in cui, al contrario, è preferibile tenersene alla larga. Vediamole con ordine. Investendo per periodi di 20 anni si sarebbe ottenuto un guadagno medio annuo del 7,77%, senz’altro sufficiente a mantenere il potere d’acquisto del capitale.
Le azioni, infatti, diventano fondamentali quando l’obiettivo del risparmiatore è quello di proteggere il valore della ricchezza. Il secondo aspetto riguarda la stabilità del dato. Nessuno dei 252 esperimenti relativi alla durata a 20 anni avrebbe generato risultati negativi. Al contrario, già investendo a 10 anni, sarebbero arrivate alcune sorprese, poiché il 6% dei 372 esperimenti condotti su questa durata si sarebbe chiuso in perdita. In particolare, le sorprese negative si annidano tutte nell’ultima parte del periodo considerato e riguardano, quindi, gli investimenti iniziati alla fine degli anni Novanta, quando gli indici erano già molto alti e imperversavano, forse ad arte, ottimistiche teorie sugli sviluppi senza limiti dei mercati azionari.
Questa è una circostanza, di non poco conto, perché essa ci insegna che comprare quando le borse hanno già galoppato molto è quasi sempre un azzardo e che, quindi, l’ottimismo eccessivo e il conformismo possono nuocere alla nostra ricchezza, infatti il mercato è molto più pericoloso proprio quando sembra in ottima salute. Il terzo aspetto riguarda il rischio di ritrovarsi con un esito molto lontano e, soprattutto, molto sfortunato rispetto al valore medio del 7,77%.
Nel nostro esperimento, investendo per lassi di tempo ventennali, questo pericolo si sarebbe rivelato nullo. Nessuno di essi, infatti, avrebbe distrutto ricchezza, anche se il 10% del campione avrebbe prodotto un rendimento medio inferiore al 4%. Anche investendo a 10 questo rischio non sarebbe stato grandissimo. Nel 95% dei casi il ritorno ottenuto sarebbe stato compreso tra il +16% e il -1,6%. Analizzando i dati si può vedere che, con il progressivo ridursi della durata dell’investimento, i dati tendono a peggiorare sensibilmente, in particolare quelli che riguardano il rischio e l’instabilità dei risultati conseguibili.
George Soros, uno tra i più grandi investitori e speculatori di tutti i tempi, per trent’anni ha ottenuto un rendimento medio annuo del 25%. In ogni caso secondo Siegel, la superiorità delle azioni negli ultimi due secoli potrebbe essere spiegata dalla crescente supremazia dei paesi che hanno scelto il libero mercato. Tuttavia, anche se il modello capitalista dovesse tramontare, non è dato sapere quali siano gli investimenti, se ve ne saranno, che manterranno il loro valore.
Per tornare all’orizzonte temporale, dobbiamo dire che uno degli errori più frequenti compiuti dalle famiglie è quello di sottostimare proprio questo parametro. Comunque l’ipotesi più accreditata è che gli individui risparmino durante la loro età lavorativa, allo scopo di costruire un capitale per l’età della pensione, che normalmente arriva attorno ai 65 anni. Quindi possiamo dire in generale che periodi di investimento di venti o trent’anni sono la norma, e non l’eccezione.
Per esempio nel 2000 le azioni della TEVA Pharmaceutical, quotata al NYSE, valevano 10 dollari e nel 2004 erano già arrivate a 30 dollari, sono poi salite a 70 nel 2015 per poi precipitare a 7 nel 2019, per risalire poi a 12,30 dieci mesi dopo, quindi chi ha saputo intuire i movimenti del mercato ha di sicuro fatto degli ottimi affari, chi invece aveva acquistato le azioni come un investimento a lungo termine, ma nel momento sbagliato, vale a dire ad un prezzo troppo alto, ci ha rimesso un sacco di soldi, anche perché la società a smesso di distribuire i dividendi alla fine del 2017. Pertanto la tempistica dell’acquisto, oltre che alla durata dell’investimento, si rivela come un fattore determinante per la buona riuscita dell’operazione. Possiamo prendere in considerazioni altri casi. La NIO, azienda cinese di macchine elettriche, quotata al NASDAQ era partita dai 6-7 dollari alla fine del 2018 per finire a meno di 2 dollari verso la fine del 2019, poi a gennaio del 2021 ha toccato il picco di 56 dollari, non male vero.
Nell’epoca di panedemia da Covid 19, la Novavax (NVAX), un’azienda americana che fa ricerca nel settore dei vaccini, valeva sui 3 dollari alla fine del 2019, per passare poi sopra i 230 dollari nei primi mesi del 2021, grazie alla messa a punto di un vaccino contro il coronavirus, poi è scesa nuovamente ed ora, in data 22-01-2022, vale circa 86 dollari. Oppure la società Moderna, anche quella dei famosi vaccini anticovid, che valeva 18 dollari all’inizio del 2020 ed è balzata a 379 dollari nel Settembre del 2021, per poi scendere anch’essa a 165 dollari, oggi sempre il 22 Gennaio del 2022. Un’altra azione sempre quotata in America, la Prospect Capital era finita a 4 dollari nei primi mesi del 2020, per poi risalire a 8,60 sempre in data 22-01-2022; la cosa interessante di questa società finanziaria è che paga un dividendo mensile di circa il 10 per cento, e negli Stati Uniti ovviamente non è l’unica.
Questi sono solo dei piccoli esempi, e se ne potrebbero citare diverse centinaia, in quanto le azioni scambiate sui mercati mondiali sono parecchie migliaia e per tutte vale più o meno lo stesso discorso. Comunque per altri titoli come Amazon, Apple, Microsoft, Facebook ecc. il discorso cambia, anche perchè negli ultimi anni hanno visto una continua crescita, per cui chi li avesse acquistati e tenuti per diverso tempo in portafoglio il guadagno sarebbe stato certamente assicurato in quanto il capitale si sarebbe come minimo triplicato, se non addirittura decuplicato come nei casi di realtà come Apple o Amazon e il tutto in meno di solo una decina d’anni.
Chiudiamo questo articolo con un breve riferimento alla classe politica, in quanto i suoi membri sono in genere persone bene informate, ma il dato inatteso è che questi vantaggi conoscitivi consentono loro di ottenere performance in Borsa molto superiori agli indici. A rivelarlo è un prezioso lavoro, durato 8 anni, di Alan Ziobrowski della Georgia State University, basato su 6000 comunicazioni obbligatorie rilasciate dai senatori statunitensi. Il risultato è che nel quinquennio 1994/98 i portafogli personali dei senatori americani hanno battuto il mercato del 12% all’anno, anzi i senatori al primo mandato in particolare hanno ottenuto performances strepitose, battendo in media il mercato del 20% all’anno.
Una percentuale sorprendente, dal momento che i gestori professionali tendenzialmente non battono il mercato (soprattutto per colpa dei costi)i n 3 casi su 4. E quelli che ce la fanno, registrano extra rendimenti risicati. Non solo, uno studio del 2000, riferito a 66.465 famiglie americane nel periodo 1991/96, ha scoperto che i privati in media hanno ottenuto, con i loro investimenti personali, rendimenti inferiori al mercato dell’1,44% all’anno. E ancora, ricerche analoghe condotte sugli insider aziendali sono arrivate a concludere che i dirigenti di società quotate hanno ottenuto performances superiori all’indice del 5% annualizzato nel loro trading personale.
Su trading, finanza e investimenti puoi anche leggere:
La funzione economica della Borsa
Investimenti, trading e finanza
Borsa, finanza, politica e criminalità
Borsa, finanza, banche e parco buoi
Investire in azioni consapevolmente
Il titolo giusto al momento giusto
MPS, la banca più longeva al mondo