La storia dei caratteri cinesi, origine, leggende, evoluzioni, trasformazioni e caratteristiche di una delle lingue più antiche del mondo, l’idioma della Cina.
Per imparare il cinese o il giapponese vi consiglio di frequentare la facoltà di architettura.
Carl William Brown
Sotto il cielo, c’è un caos totale: la situazione è eccellente.
Mao Zedong
Molti libri non usano le parole; molte parole non consumano pensieri.
Proverbio Cinese
Spesso ci si chiede come sia possibile l’estrema longevità della lingua cinese. Una risposta plausibile viene dalla straordinaria bellezza e armonia dei suoi caratteri. Se disegnato correttamente il carattere non viene composto tratto per tratto in modo meccanico, ma attraverso un unico gesto armonico, in cui lo scrittore trasmette la propria energia al pennello. La calligrafia, quindi, non è solo una forma d’arte, ma anche un utile esercizio psicofisico. Richiede infatti attenzione, concentrazione e serenità d’animo, con effetti positivi sulla salute. l caratteri cinesi sono un vero e proprio patrimonio culturale, non solo uno strumento di scrittura.
I caratteri cinesi sono il più antico sistema di scrittura tra quelli ancora utilizzati. Secondo gli storici i primi caratteri furono incisi, come tutte le lingue antiche, con uno strumento a punta (un bastoncino di legno, uno stilo di bronzo o di giada) sulla ceramica, sui gusci delle tartarughe, sulle ossa e sugli oggetti di bronzo.
Nel 200 a.C. comparve l’uso del pennello e dell’inchiostro, dapprima per scrivere sulla seta e poi sulla carta. Ancora oggi le barrette di inchiostro secco – ricavate impastando insieme fuliggine e colla e aromatizzate con essenze profumate – sono uno dei “quattro tesori” della scrittura, insieme al pennello, alla carta e al calamaio, pietra concava sulla quale si diluiscono le barrette con acqua per ottenere l’inchiostro liquido.
Il più grande dizionario mai esistito in Cina, il Grande Dizionario della Lingua Cinese raccoglie oltre 54.000 diversi caratteri. Per fortuna, il cinese che viene usato frequentemente nella vita quotidiana ne usa molti di meno. L’elenco dei caratteri più usati, preparato nel 1928 dal prof. Chen Heqin e dai suoi assistenti, ne conta 4.261. Nel 1988 il Governo cinese ha emanato una direttiva che fissa in 3.500 i caratteri più usati, di cui 2.000 -2.500 sono insegnati nelle scuole elementari e i rimanenti 1.000 -1.500 alle scuole medie e al liceo.
Gli studiosi raggruppano i caratteri in 6 famiglie: pittogrammi, che descrivono in forma grafica la realtà , gli ideogrammi, che rappresentano in forma simbolica un concetto, gli ideogrammi composti, che uniscono due o più pittogrammi per formare caratteri con significato diverso, composti forma/suono, che sono formati da una parte che definisce il significato e da una parte che definisce la pronuncia, i fonogrammi, caratteri identici nel disegno e nella pronuncia ma con significati differenti, i falsi prestiti, in cui un carattere già esistente viene adottato per un’altra accezione. Ogni carattere cinese è formato da un insieme di tratti.
Esistono regole precise per la scrittura: si parte da sinistra in alto e si prosegue verso destra in basso, scrivendo prima le parti esterne e poi le parti interne. Ogni carattere copre una superficie quadrata e va scritto seguendo determinate proporzioni. I caratteri costituiti da più elementi comprimono queste parti tra loro in modo da mantenere una forma e una dimensione complessiva omogenea.
Occorre tenere presente che nella lingua cinese, anche se il significato dei caratteri è rimasto lo stesso da secoli, la loro forma si è spesso evoluta, soprattutto in seguito all’opera di semplificazione dei caratteri voluta da Mao Zedong. Ecco perché, leggendo le ricostruzioni etimologiche, occorre sforzare la fantasia per ricostruire il pensiero di chi, nell’antichità, ha disegnato per primo l’antico carattere.
La leggenda dice che un giorno l’Imperatore Giallo, Huangdi (che regnò, secondo la datazione più diffusa, tra il 2697 e il 2598 a.C.), stanco di usare i nodi sulle cordicelle come strumento di memorizzazione delle informazioni (lo stesso metodo usato da alcune popolazioni dell’America Centrale e Meridionale), chiese a Cang Jie, lo storico di corte, di pensare a uno strumento migliore. Cang Jie si mise subito al lavoro, ma non riuscì a risolvere il compito che l’imperatore gli aveva affidato. A questo punto esistono diverse versioni.
Secondo la prima, un giorno, mentre stava cacciando, vide una tartaruga le cui venature sulla corazza catturarono la sua curiosità. Ispirato dalla possibilità di una relazione logica tra quelle venature, si mise a studiare gli animali, il paesaggio e le stelle, e inventò un sistema simbolico: i caratteri cinesi.
Secondo un’altra versione, più suggestiva, un giorno Cang Jie vide una fenice volare nel cielo con un oggetto nel becco. L’oggetto cadde per terra proprio davanti a Cang Jie, lasciando un’impronta sul terreno. Non essendo in grado di riconoscere a quale animale appartenesse, Cang Jie chiese aiuto a un cacciatore di passaggio, il quale gli disse che senza dubbio l’impronta apparteneva a un píxiù, animale mitologico cinese simile a un leone alato.
La conversazione con il cacciatore lo ispirò. Cominciò infatti a chiedersi se fosse possibile descrivere ogni cosa partendo da un sua “impronta”, così come il cacciatore aveva descritto il píxiù partendo dal segno lasciato sul terreno. Da quel giorno in avanti, CangJie cominciò a osservare le caratteristiche di tutto quello che gli capitava davanti: il Sole, la Luna, le stelle, le nuvole, i laghi, i mari e gli animali. Creò poi un elenco di caratteri e lo presentò all’Imperatore che, entusiasta, lo fece insegnare a tutti i suoi sudditi. Per quanto la leggenda nelle sue differenti versioni sia affascinante, la teoria comunemente accettata è che la lingua cinese scritta sia nata insieme alle incisioni sui gusci di tartaruga realizzate nel corso della Dinastia Shang (XVI-XI sec. a.C.).
I caratteri più antichi furono scoperti nel 1899, nella Cina centrale, e fino a oggi sono stati rinvenuti oltre centomila frammenti di gusci di tartaruga e di ossa di animali con incisi testi divinatori. Da allora, i caratteri hanno subito numerosi cambiamenti nella forma, nella struttura e nel numero, fino ad arrivare alla forma odierna. In molti casi i caratteri cinesi presentavano numerosi tratti, di conseguenza erano difficili da scrivere. Lo stile corsivo, usato nella scrittura comune, aveva già introdotto alcune semplificazioni nella grafia, tuttavia negli anni Trenta e Quaranta la questione della semplificazione dei caratteri diventò pressante.
Molti intellettuali e scrittori sostenevano infatti che la semplificazione avrebbe aiutato l’alfabetizzazione. Fu Mao Zedong, con la Cina comunista, ad awiare un processo di semplificazione promosso in due fasi: nel 1956 e nel 1964. La riforma si applicò su tre fronti: l’eliminazione di 1027 caratteri “doppioni”, la riduzione dei tratti di molti caratteri e l’introduzione delle lettere latine per la trascrizione dei caratteri, il famoso metodo “pinyin” che si impose su tutti i metodi precedenti.
Da allora la Cina utilizza questo sistema che ha portato, da una parte a un più facile apprendimento della lingua e a una più facile scrittura, dall’altra, in alcuni casi, a una perdita di significato. Molti caratteri tradizionali sono infatti maggiormente descrittivi delle caratteristiche dell’oggetto, seguendo l’ispirazione di Cang Jie.
Una precisazione: la Cina non ha proibito i caratteri tradizionali, semplicemente non li usa per le pubblicazioni interne. Produce infatti, con i caratteri tradizionali, materiali per gli abitanti di Taiwan, di Hong Kong e di Macao e per i cinesi che vivono nelle “Chinatown” in giro per il mondo.
Il sistema di scrittura cinese, sulla scia del prestigio culturale dell’Impero di Mezzo, si diffuse inoltre in diversi Paesi del Sudest asiatico; ciascuna nazione si è tuttavia trovata a dover adattare i caratteri cinesi alla propria lingua, con soluzioni diverse: il Giappone, dal 1946, usa un insieme di caratteri semplificati in maniera meno drastica, la Corea ne ha limitato l’uso mentre il Vietnam li ha aboliti a favore della scrittura con l’alfabeto latino.
Vuole la tradizione che Wang Xizhi (321-379), uno dei massimi calligrafi cinesi, imparò l’arte far danzare il polso – movimento essenziale per una corretta scrittura – osservando il modo con cui le oche piegavano il collo. Secondo il maestro Wang il foglio di carta è il campo di battaglia e il destino del combattimento si decide impugnando il pennello: i tratti sono gli ordini dei comandanti, le curve e i ritorni sono i colpi mortali.
L’invenzione del pennello da scrittura, quello usato ancora oggi, è attribuita a Meng Tian, generale della dinastia Qin (220-206 a.C.), famoso per essere stato tra i costruttori della Grande Muraglia. La sua intuizione fu quella di sostituire la punta del pennello, che all’epoca era costituita da fili di canapa, con un ciuffo di setole di animale.
Ma il grande passo avanti fu fatto qualche secolo dopo, grazie all’invenzione della carta, a opera di un altro grande cinese, Cai Lun (50-121), che ne standardizzò le procedure di produzione. Con questi due strumenti, e grazie all’inchiostro ottenuto miscelando la fuliggine, prodotta dai fuochi, con alcune resine spesso aromatizzate, si cominciò a sviluppare una vera e propria forma d’arte: la calligrafia.
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