La vergogna di scrivere, alcune riflessioni sulla scrittura, gli scrittori e le società in cui sono vissuti.
I libri migliori sono proprio quelli che dicono quel che già sappiamo.
George Orwell
I lettori sono personaggi immaginari creati dalla fantasia degli scrittori.
Achille Campanile
La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno e alcune della notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza avere avuto il tempo di rileggere e correggere.
Emilio Salgari
Non ho ancora capito se la letteratura, abilmente governata dai ricchi e potenti editori, serva a rendere i lettori più colti, sensibili ed umani o se invece il suo fine sia principalmente quello di rimbecillirli.
Carl William Brown
La differenza tra letteratura e giornalismo consiste nel fatto che il giornalismo è illeggibile e la letteratura non viene letta.
Oscar Wilde
La lettura di buoni libri potrebbe contribuire a lenire la stupidità umana, il problema è che la stupidità non ama leggere.
Carl William Brown
Per ogni libro degno di essere letto c’è una miriade di cartastraccia.
Arthur Schopenhauer
Il migliore scrittore sarà colui che ha vergogna di essere un letterato.
Friedrich Nietzsche
Certa gente si vanta di non leggere e forse ha ragione, per vegetare non serve erudirsi.
Carl William Brown
L’intellettuale è un signore che fa rilegare i libri che non ha letto.
Leo Longanesi
Un filosofo o un letterato possono scrivere un libro, ma solo i lettori lo possono far parlare e dandogli voce, far sì che la gente lo ascolti.
Carl William Brown
Un pamphlet di Luigi Malerba sui vizi antichi e nuovi della categoria.
Malerba ha scritto un libro intitolato Che vergogna scrivere, ma non è forse più vergognoso non leggere? Nel suo libro infatti c’è il ritratto del non lettore. Il guaio è che purtroppo non lo leggerà.
La specialità del Non Lettore, di cui ho fatto l’elogio nel mio libro, è proprio quella di comprare libri che non legge. In questo non c’è niente di vergognoso, anzi è il primo passo verso la cultura e in molte occasioni siamo tutti dei Non Lettori. Se non esistessero i Non Lettori gli editori andrebbero al fallimento e ne soffrirebbero anche gli scrittori.
Scrive che ll pensiero si forma in bocca come lo sputo: lo scrittore deve essere aggressivo? Che il pensiero si formi in bocca, vale a dire che esista solo quando viene espresso con le parole, è soltanto una innocua metafora. L’aggressività invece è un modo improprio di riscatto da una secolare tradizione servile. Ma se l’atteggiamento servile è deplorevole, lo scrittore aggressivo per principio è una figura patetica, uno spaventapasseri.
Nel libro ci sono due parole sulla neoavanguardia allegramente liquidatorie… È una vocazione propria delle avanguardie mettersi in liquidazione da se stesse. Le avanguardie sono un passaggio obbligato della modernità come il morbillo e la scarlattina per gli umani.
Lo scrittore è un fantasma, lei scrive, ma chi era quando era vivo? Avrei potuto intitolare questo libro “Esame di coscienza di uno scrittore proprio perché cerco di spiegare i disagi e qualche rimedio per chi non si rassegna ad essere ridotto a fantasma. La mia ambizione è che questo piccolo libro possa essere un utile passepartout per i giovani che si apprestano a intraprendere la fantasmatica attività della scrittura.
La storia della società degli scrittori è la storia di una lunga servitù che attraversa i secoli. Tutti hanno avuto sotto gli occhi le dediche spropositate con le quali lo scrittore di un tempo chiedeva protezione, aiuto, conforto o perdono, al re, al principe al papa, allo zar e magari all’abate o al signore che lo ospitava in quel momento e che gli offriva un posto alla sua mensa.
Molto spesso la protezione consisteva nella pura e semplice ospitalità e non era nemmeno infrequente il caso di un protettore avaro e fornito di un pessimo cuoco. Tuttavia gli attributi che per consuetudine gli dedicava lo scrittore erano sempre superlativi e altisonanti: “nobilissimo, illustrissimo, eccellentissimo, virtuosissimo, onestissimo, ossequiossimo”.
C’è da arrossire di secolare vergogna retrospettiva pensando a quante opere del genio umano sono dedicate con tanta umiltà e piaggeria a più o meno illustrissimi imbecilli che avevano il solo merito di possedere i mezzi per mantenere i loro buffoni e, insieme a questi, i loro scrittori e poeti.
Le dediche erano molto ricercate dagli uomini del potere. Perfino operette di veloci erotismi come Le dame Galanti di Brantôme trovavano un destinatario più o meno illustre, nel caso particolare un certo duca d’Alenson il cui nome non ha lasciato traccia nella storia di Francia se non ci fosse a ricordarlo questo gioiello letterario. Per un piatto di lenticchie lo scrittore associava alla propria opera e alla propria “immortalità” mediocri personaggi degni soprattutto di venire dimenticati.
Poteva succedere in rari casi, come per esempio nel Principe di Machiavelli, che la dedica fosse indirizzata a un signore degno come Lorenzo de’ Medici, egli stesso poeta oltre che principe magnanimo e illuminato.
Un “rivoluzionario” come Voltaire doveva adattarsi a vivere al servizio dell’uno o dell’altro sovrano, e dovette darsi alla fuga quando venne accusato di aver scritto versi satirici contro il reggente di Francia, e subì più tardi, per colpa degli stessi versi, la reclusione nella Bastiglia e poi l’esilio. Vita non facile per quegli scrittori che tentavano di conquistarsi un sia pur modesto margine di libertà.
Il povero Voltaire per scontare la propria indipendenza arrivò al punto di progettare, per conto di Caterina II in guerra contro i Turchi, dei carri “babilonesi” che se fossero stati impiegati in quella guerra avrebbero portato alla catastrofe l’augusta sovrana e il suo esercito.
La sequenza dei servilismi, delle umiliazioni, delle miserie cui devono soggiacere gli scrittori nel corso dei secoli viene interrotta soltanto da rare eccezioni: François Rabelais dedica il suo “Gargantua e Pantagruel ai “bevitori illustrissimi” e agli “impestati pregiatissimi” suoi “amici lettori”, ma bisogna aggiungere che la beffa era anonima come i volumetti a dispense del suo capolavoro, venduti nei mercati e nelle fiere di Francia, e che la prima edizione dell’opera stampata a Lione nel 1542 venne ampiamente censurata dall’autore stesso per sfuggire alle persecuzioni della terribile Facoltà di Teologia di Parigi che aveva già espulso a suo tempo il ribelle Sigieri di Brabante per ordine di Tommaso d’Acquino.
Per essere accettato ufficialmente come artista, lo scrittore doveva essere servo e conformista, oppure cieco come Omero, o fuggiasco come Dante, o nel migliore dei casi doveva nascondersi volontariamente nell’anonimato.
Una rivoluzione silenziosa e incruenta è iniziata nel mondo delle lettere a partire dal luglio 1793 quando venne emanata in Francia, su proposta di Pierre Augustin Caron de Beaumarchais, la prima legge sul diritto d’autore che riconosceva ufficialmente e per la prima volta il “diritto esclusivo dell’autore per tutte le opere dell’ingegno”.
Come si vede dalla data, questa legge seguiva, come diretta conseguenza , quell’altra Rivoluzione accompagnata invece dal fragore delle armi e da abbondanti spargimenti di sangue. La legge sul diritto d’autore mirava semplicemente a stabilire un diritto economico, ma la sua portata in realtà coivolgeva altri diritti non compresi nella definizione legale.
In termini sindacali si può dire che lo scrittore era stato per secoli un “lavoratore dipendente” se non un parassita sociale. Dopo l’istituzione del diritto d’autore è diventato un “lavoratore indipendente” ha conquistato uno strumento legale che quantifica il suo lavoro e gli consente di vendere i propri “prodotti” invece di offrire i propri “servizi”.
La società tuttavia non era ancora pronta ad accettare il commercio del lavoro intellettuale e ha considerato un corpo estraneo questo tipo di “produttore” che aveva conquistato improvvisamente la propria indipendenza secondo la legge, ma per il quale non si trovava ancora una collocazione verosimile, né un mercato per i suoi prodotti. Questa svolta storica della condizione di scrittore segnava in realtà l’inizio paradossale della sua carriera di “fantasma”.
Lo scrittore come fantasma nasce dunque, per estremo paradosso, da un atto legale, da una disposizione economica, da una legge concreta, sonante e lampante come gli zecchini di Pinocchio. Dove si capisce che una legge giusta in una società sbagliata, o comunque impegnata in tutt’altre imprese, può produrre effetti contrari a quelli che si propone.
Il diritto di vendere una merce che non trovava una definizione commerciale e che in ogni caso veniva giudicata inutile, aveva sancito la maledizione sociale dello scrittore. Dopo aver perso i suoi protettori, lo scrittore era uscito dal suo status servile ma non ne aveva in compenso acquistato uno nuovo che ne certificasse l’esistenza: dal punto di vista sociale lo scrittore era diventato un fantasma.
Gli scrittori di romanzi che conobbero finalmente la popolarità non riuscirono quasi mai a emanciparsi da un secondo mestiere o dalla catena di montaggio imposta dagli editori. Se scorriamo le biografie dei maggiori scrittori dell’Ottocento, da Balzac a Flaubert a Dickens a Dostoevskij, (A questo proposito come non citare attraverso un celebre aforisma il famoso caso di Emilio Salgari, autore di ben ottanta romanzi e di più di 200 opere se consideriamo anche i racconti, che per i debiti si suicidò: “A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.”) ci accorgeremo che il leitmotiv ricorrente è quello dei debiti. Finché non si stabilì che i diritti d’autore erano rigorosamente inalienabili (come i beni dei minorenni), la nuova legge non fu sufficiente a riscattare, nemmeno economicamente, il mestiere delle lettere.
Il passaggio dallo stato di scrittore-servo a quello di scrittore-fantasma ha prodotto alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento alcuni fenomeni degni di attenzione. Anzitutto la famosa bohème, una marginalità inevitabile trasformata in esibizione, autolesionismo, vocazione, disperazione, contestazione. Furono gli stessi scrittori ad accettare e a esibire questa marginalità e lo conferma il fatto che si autodefinirono “maudits”, maledetti.
Il fantasma portava in giro i propri pallori e tentava di spaventare la società borghese che lo rifiutava, voleva creare disordine nella Repubblica platonica. I fantasmi, si sa, sono più vendicativi degli uomini. È ancora nei primi decenni del Novecento che si manifesta per la prima volta nella storia della letteratura il fenomeno delle avanguardie. Le avanguardie storiche, Futurismo, Dadaismo, Surrealismo, erano movimenti rivoluzionari senza spargimenti di sangue, un nuovo tipo di rivoluzione che avveniva non tanto per conquistare dei diritti, ma per irridere una società nella quale ai diritti nominali non corrispondevano mai diritti effettivi. Ancora una volta gli scrittori proponevano come modello il caos nel quale la società li aveva costretti. Gli avanguardisti storici furono degli autentici “fantasmi storici”.
Luigi Malerba