Platone e il mito di Er, racconto mitologico posto alla fine della Repubblica che concerne la libera scelta di una nuova vita per le anime e il loro Daimon.
…desideroso della sola compagnia di quelli i quali comandano non già di chiudere, ma di aprire gli occhi…”
Giordano Bruno
Forse avrebbe anche potuto scegliere nel migliore dei modi, ma il suo Daimon non era poi così affidabile, inoltre Dada dubitava di tutto, e per questo non seppe quasi mai fare la scelta più opportuna, tuttavia si divertiva a provare, non senza una certa nostalgica e melanconica sofferenza.
Carl William Brown
Platone visse tra il V e il IV secolo a.C. ad Atene. Nella sua opera filosofica “La Repubblica” il filosofo affronta il tema della giustizia, terminando con il mito di Er. Il mito concerne la vita, la morte, il giudizio e la libera scelta della nuova esistenza. Platone afferma che l’uomo è libero di scegliere se essere giusto o meno. Una libertà fondata non sulla volontà, ma sulla conoscenza del bene e del male. Occorre prepararsi a fare la scelta giusta tra la vita buona e quella cattiva e l’ordine di scelta non impedisce di poter vivere in modo accettabile e virtuoso. Nel racconto mitologico dopo il sorteggio e la scelta ad ogni anima viene assegnato un daimon angelico che l’accompagna e la guida nel proprio destino.
A questo punto le anime si preparano ad entrare nella loro nuova vita dimenticando quella passata, in questo le aiuta l’acqua dell’oblio del fiume Lete, al quale devono abbeverarsi. (Questo fiume mitologico è utilizzato oltre che in questa opera di Platone anche nell’Eneide di Virgilio, nel VI° libro, ed anche da Dante che immagina che nel Lete, situato nel paradiso terrestre, sul monte del Purgatorio, si lavino le anime purificate prima di salire in Paradiso, per dimenticare le loro colpe terrene. Accanto al Lete scorre il fiume del ricordo delle cose buone del proprio passato, l’Eunoè.) Naturalmente la disciplina che può consentirci di fare le giuste azioni e di poter optare per le scelte più opportune è senza ombra di dubbio la filosofia.
La responsabilità è di chi sceglie; la divinità è senza colpa. (Platone conclude dicendo che già in questa vita bisogna prepararsi alla scelta del proprio destino. Man a mano che l’uomo procede nella vita, sceglie di volta in volta il bene e il male, dunque determina il proprio destino.
Platone Repubblica X 617e
Non sarà il demone a scegliere voi, ma sceglierete voi il vostro demone. Chi è stato sorteggiato per primo, per primo scelga la vita alla quale sarà necessariamente congiunto. La virtù non ha padrone, e ognuno ne avrà in misura maggiore o minore a seconda che la onori o la disprezzi. La responsabilità è di chi sceglie; la divinità è senza colpa.
Platone Repubblica X 617e
…lì sta il più grave pericolo per l’uomo, nonché il principale motivo per il quale ognuno di noi deve preoccuparsi di ricercare e apprendere questa cognizione trascurando le altre, nella speranza di poter riconoscere e trovare chi lo renda capace ed esperto a distinguere la vita buona da quella cattiva.
Platone Repubblica 618c
Anche chi è arrivato per ultimo, se sceglierà con giudizio e vivrà con rigore, può disporre di una esistenza accettabile e non indecorosa. Il primo a scegliere non sia distratto e l’ultimo non si scoraggi.
Platone Repubblica X 619b
…Làchesi… a ciascuna assegnava come custode della sua vita ed esecutore della sua scelta il demone che si era preso.
Platone Repubblica X 620e
…Cloto… sanciva il destino che (l’anima) aveva scelto al momento del sorteggio. Repubblica X 620e
… Atropo… rendeva immutabile la trama filata. Repubblica X 620e
… da lì l’anima andava senza voltarsi ai piedi del trono di Anànke (Necessità) e lo superava. Repubblica X 620e
…le anime… si avviarono verso la pianura del Lete (v.g. Oblio) … si accamparono presso il fiume Amelete … furono costrette a bere … e chi via via beveva si dimenticava di ogni cosa.
Platone Repubblica X 621a
… se infatti chi viene a questa vita si applicasse sanamente alla filosofia e il sorteggio non lo ponesse a scegliere tra gli ultimi, è probabile che, stando a quanto ci viene riferito dall’aldilà, non solo sarebbe felice su questa terra, ma compirebbe anche il viaggio da qui a laggiù e il ritorno qui per una strada non sotterranea e aspra, bensì liscia e celeste.
Platone Repubblica X 619e
… fare della filosofia rettamente consiste nel non scegliere i tipi di esistenza peggiori al posto dei migliori per ignoranza del migliore e del peggiore, e, quando si siano scelti i migliori, nel non inclinare verso i peggiori per un impulso non controllato.
Platone
A conclusione della Repubblica Platone pone il “mito di Er”.
Il mito di Er è uno dei miti descritti nelle opere del filosofo greco Platone. Narrato in una delle sue opere più ampie, La Repubblica, in conclusione del Libro X, l’ultimo, è considerato uno dei più importanti miti escatologici dei dialoghi di Platone; i suoi contenuti sono ispirati in maniera rilevante dal mito orfico e pitagorico della metempsicosi, ma contiene anche l’affermazione di una nuova responsabilità morale nei confronti del proprio destino dopo la morte, concetto questo in parte estraneo alla concezione tradizionale greca della vita e della morte.
Er è un uomo che muore in guerra e compie un viaggio nell’aldilà. Ad Er è concesso di vedere cosa accade dopo la morte e di poter tornare su questa terra a raccontare quanto ha visto. “Er, figlio di Armenio, originario della Panfilia, era morto in guerra. Quando, al decimo giorno, si portarono via dal campo i cadaveri decomposti, fu raccolto intatto e ricondotto a casa per essere sepolto. Al dodicesimo giorno, quando già si trovava disteso sulla pira, ritornò in vita e raccontò quello che aveva visto laggiù”.
Repubblica X 614b
Il giudizio dei morti
Una volta uscita dal suo corpo – racconta Er – la sua anima si era messa in cammino con molte altre, finché non era giunta in un luogo daimonion (meraviglioso, divino). Qui c’erano due coppie di voragini contigue, una in cielo e l’altra in terra, e in mezzo sedevano i giudici delle anime. Questi, pronunciato il giudizio, ponevano al collo dei giusti e alle spalle degli ingiusti i segni della sentenza, e ordinavano ai primi di salire a destra e in alto e ai secondi di scendere a sinistra in basso. Quando Er si era presentato, i giudici gli avevano ingiunto di ascoltare e guardare tutto quello che succedeva, per poterlo raccontare. [614b-c]
Dalla voragine celeste a sinistra e dalla voragine terrestre a destra uscivano altre anime, le une pure e le altre sporche e impolverate, reduci da un viaggio di mille anni in cielo o sottoterra. Il viaggio sotterraneo era un viaggio di espiazione, nel quale ogni ingiustizia commessa in vita veniva pagata con dolori dieci volte tanti quanti quelli provocati. Con una misura analoga le azioni giuste venivano compensate. [614d-615c]
Tutti i castighi sono temporanei, tranne quelli riservati ai tiranni. Er racconta di aver udito un’anima chiedere a un’altra dove fosse il grande Ardieo, che mille anni fa era stato tiranno di una città della Pamfilia. Ardieo – le viene risposto – non è venuto e non tornerà mai più. Quando i tiranni, o qualche privato che si è macchiato di un delitto gravissimo, tentano di uscire dalla bocca della voragine, essa emette un muggito. A questo segnale, i tiranni vengono presi, scorticati e trascinati al Tartaro. [615c-616b]
Il cosmo di Er
Dopo sette giorni di permanenza in quel luogo, le anime furono fatte camminare per quattro giorni, finché non giunsero in vista di una luce simile all’arcobaleno, che teneva insieme tutta la circonferenza del cielo. Alle estremità è sospeso il fuso di Ananke, la divinità che rappresenta la necessità o il destino ineluttabile, per il quale girano tutte le sfere. Il fusaiolo, che è il contrappeso che mantiene a piombo il fuso, è formato da otto vasi concentrici, messi uno dentro l’altro, e ruotanti in direzioni opposte sull’asse del fuso.
Su ogni cerchio sta una Sirena, che emette un’unica nota, e le diverse Sirene tutte insieme producono ruotando un’armonia. Gli otto fusaioli rappresentano gli otto cieli concentrici della cosmologia antica, nell’ordine pitagorico: stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Venere, Sole e Luna. Il fuso gira sulle ginocchia di Ananke. Le tre Moirai, o, latinamente, Parche, siedono in cerchio su tre troni a uguale distanza. Le Moirai – le divinità della moira – sono figlie di Ananke: Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l’avvenire. [616b ss]
Ogni anima potrà scegliere un nuovo modello di vita.
Appena le anime giunsero in questo luogo, un araldo le mise in fila per presentarle a Lachesi. Quindi, prese dalle ginocchia della Moira delle sorti e dei modelli di vita (biou paradeigmata), annunciò:
Parole della vergine Lachesi, figlia di Ananke: anime, che vivete solo un giorno (ephemeroi) comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte (thanotephoron). Non vi otterrà in sorte un daimon, ma sarete voi a scegliere il daimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù (arete) è senza padrone (adespoton) e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio (theos) non è responsabile. [617d]
Nella mitologia greca, il daimon è la creatura divina che presiede alla sorte di ciascuno. Ma in questo racconto, quello che siamo – dichiara l’araldo – dipende essenzialmente dalle scelte che facciamo.
Viene sorteggiato l’ordine della scelta delle anime, e viene loro proposta una grandissima quantità di paradigmi di vita: vite di animali, di uomini, di donne, di tiranni, di successo o fallimentari, di persone oscure o insigni. Ma non c’è una taxis (disposizione, ordine) dell’anima, perché ognuna diventa necessariamente diversa a seconda che scelga l’una o l’altra vita.
Saper scegliere una vita giusta e scartarne una ingiusta, commenta Socrate, è importante, per raggiungere la massima eudaimonia. [618e-619a] Anche per chi arriva per ultimo, essendo la rosa dei paradigmi di vita molto ampia, c’è la possibilità di condurre una vita non cattiva, se la scelta viene fatta con senno.
Er racconta anche alcune scelte fatte dalle anime: per esempio, la prima, che era venuta dal cielo, dopo aver praticato la virtù solo per abitudine e senza filosofia in una politeia ordinata, si precipita a scegliere la vita di un tiranno, per accorgersi subito dopo che contiene dolori e sciagure, e prendersela con la sorte. Le anime che venivano dalla terra, invece, facevano scelte più avvedute, perché avevano imparato dall’esperienza.
La selezione dei paradigmi di vita da parte delle anime è uno spettacolo insieme miserevole, ridicolo e meraviglioso. La maggioranza sceglie secondo le abitudini della vita precedente: Agamennone, per esempio, sceglie la vita di un’aquila, e Odisseo, stanco di avventure, la vita tranquilla di un privato. [620a ss]
Dopo la scelta, le anime si presentano a Lachesi, dalla quale ciascuna ottiene il daimon che si è preso, perché gli sia custode e adempia quello che ha scelto. Questo guida l’anima da Cloto, a confermare sotto il giro del fuso il suo destino, e poi da Atropo a renderlo inalterabile, e quindi, dal trono di Ananke, verso la pianura del Lete, afosa e senza alberi. Alla fine della giornata le anime si accampano sulla riva del fiume Amelete (trascuratezza, incuria), la cui acqua non può essere contenuta da nessun vaso.
Tutti – tranne Er – vennero obbligati a bere quell’acqua, che faceva dimenticare, e chi non era frenato dalla phronesis ne beveva di più. Poi le anime si addormentarono e, a mezzanotte, con un terremoto, furono lanciate nell’avventura del nascere. Er, che non aveva bevuto l’acqua del Lete, si era svegliato sulla pira funeraria, con la memoria del suo mito. Memoria che – conclude Socrate – anche noi potremo conservare, se attraversemo bene il Lete e seguiremo la via ascendente della dikaiosyne (giustizia) e della phronesis (discernimento), per trovarci bene in questo mondo e nell’altro millenario cammino. [620d ss]
Commento al mito di Er di Maria Chiara Pievatolo
Il mito di Er, come il giudizio dei morti del Gorgia, ci narra innanzi tutto di un giudizio. Nel Gorgia, questo giudizio è dato una volta per tutte, sebbene soltanto i tiranni siano condannati a pene eterne. Qui, invece, la metempsicosi rende quasi tutte le sentenze temporanee: le anime, dopo mille anni di espiazione o di ricompensa nel mondo ultraterreno, ritornano a vivere e hanno la possibilità di saggiarsi indefinitamente, poiché il tempo della prova – racconta Er – dura indefinitamente.
Come nel giudizio dei morti del Gorgia, solo ai tiranni e agli animi tirannici sono riservate punizioni definitive e irreversibili. Solo i tiranni, infatti, bloccano completamente la discussione e l’apprendimento con la loro violenza e la loro sete di potere. Essi, rifiutando di imparare e di confrontarsi con gli altri, sono gli unici che si cristallizzano in una pena eterna – una pena connessa alla monotonia della loro anima.
Il principio supremo del reale è, per Platone, il Bene come superiore potenzialità: il tiranno, con la sua rigidezza e la sua dipendenza dal potere in atto è il suo esatto opposto. Le punizioni e le ricompense che vengono assegnate alle altre anime non sono definitive: questo testimonia il loro carattere educativo. La disposizione ad imparare è ciò che distingue chi non è tiranno da chi lo è.
Un’altra differenza fra il racconto di Er e il giudizio dei morti è il fatto che, mentre il secondo viene narrato come un mito, che rielabora esplicitamente materiali omerici, il primo è riportato come il resoconto dell’esperienza di una singola persona, di quello che ha visto e ricorda. La storia della libertà non è una favola ripetuta dai poeti, ma la storia di un protagonista che ha visto le vicende che narra. Er, addirittura, è tornato dai morti per riferirci il suo racconto. Questo risveglio può essere interpretato in un più di un senso.
Sul piano biografico, Platone, scrivendo i suoi dialoghi, fa letteralmente tornare Socrate dal regno dei morti, per farlo continuare a discutere con noi. Dal punto di vista letterario, un dialogo scritto, se riesce a stimolare il pensiero in prima persona del lettore, è metaforicamente un ritorno dal regno dei morti. Idee nate in un contesto temporalmente e spazialmente delimitato possono ritornare vive nel rapporto con chi legge, e addirittura dire qualcosa di nuovo e di creativo. In questo modo hanno, oltre alla prima, infinite vite successive, sempre interconnesse con le precedenti.
La cosmologia del racconto di Er è arcaica, naturalistica e deterministica: il fuso della necessità è l’asse delle sfere celesti e fila, nello stesso tempo, i destini degli uomini. La necessità del cosmo e quella del mondo umano sembrano, arcaicamente, una sola. Ma Platone, ovviamente anche qui, rielabora il materiale del mito per trasmettere, tramite la sua arte filosofica, idee nuove e vivificanti.
Il daimon è la creatura divina che presiede al destino di ciascuno. Nel racconto di Er, il daimon non capita in sorte, ma è oggetto di una scelta. La libertà di scelta rende la virtù “senza padrone”, a differenza di quanto avveniva nella morale tradizionale, ove questa era appannaggio di una figura sociale ben determinata, l’aristos, o comunque di un gruppo estremamente ristretto.
La scelta, e dunque la libertà, è qualcosa di indipendente dalla nostra immagine corporea e sociale: sono offerti alla scelta paradigmi di vita di tutti i tipi, di uomini, donne e perfino animali. La metempsicosi, in Platone, è un elemento assieme liberatorio e responsabilizzante; il caso che determina l’ordine della scelta non è decisivo, perché i paradigmi di vita sono più numerosi delle anime.
Il fatto che questi paradigmi siano dei modelli offerti dalla Moira che canta il passato, Lachesi, non incide sulla libertà di scelta. Scegliere, nella prospettiva platonica, significa prendere possesso criticamente del proprio passato per migliorare il presente.
La morte era tradizionalmente un compimento, che dava garanzia di fissità e definitività all’esistenza umana. Per questo si pensava che l’eudaimonia fosse qualcosa di certo solo una volta terminato felicemente l’esistenza mortale. Nel racconto di Er, invece, la morte è un elemento di indeterminazione, che mette in dubbio la fissità delle immagini sociali del mondo dei vivi. Per la tradizione solo la morte poteva dirci chi era veramente padrone dell’eccellenza e aveva (avuto) un felice rapporto col mondo; per Er, la morte ci dice che la virtù non ha padrone.
Le anime compiono scelte molto differenti fra loro: ciascuno si procaccia la felicità, nel senso moderno di soddisfazione personale, a modo proprio. Ma Socrate sottolinea che la questione dello scegliere, e dello scegliere giustamente, in modo da massimizzare l’eudaimonia, è un problema capitale.
Questa eudaimonia esiste non tanto perché un buon daimon presiede al nostro destino, quanto perché noi stessi abbiamo scelto un buon daimon. Elemento essenziale dell’eudaimonia, dunque, non è più il daimon, ma il carattere della nostra scelta. Non ci può essere eudaimonia senza autonomia. Se lo scegliere è essenziale, la felicità non può essere ridotta a un modello, in base al quale coltivare le persone. Anche per questo, i paradigmi di vita offerti in opzione sono numerosi e differenti fra loro.
Solo la trascuratezza ci fa dimenticare che noi, avendo scelto, siamo liberi, e che possiamo renderci migliori. La nostra libertà è “mitica”, nel senso che possiamo esserne consapevoli solo ricordando criticamente la nostra storia – come non potevano fare i poeti, i quali sono condannati alla ripetizione e all’immersione acritica in un flusso non concettuale, incontenibile e indefinibile, proprio come l’acqua del fiume Lete.
Se le nostre scelte sono importanti, e se sappiamo tenerlo a mente, ci risulterà chiaro che il mondo può essere migliore di quello che è. Siamo nel mondo di Ananke, ma cambiare è possibile, perché noi stessi possiamo trasformarci e migliorarci.
Il ritorno di Er dal regno dei morti è un’immagine forte dello spirito che ispira la metafisica di Platone: la realtà esiste solo nella misura in cui è viva e in tensione verso il meglio. Noi esistiamo in maniera piena solo se sappiamo fare le nostre scelte – se sappiamo, cioè, valorosamente morire e consapevolmente rinascere, senza dimenticare nulla, come nel racconto straordinario che mette fine alla Repubblica.
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