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Poesia, morte e letteratura

Poesia, morte e letteratura

Poesia, morte e letteratura
Poesia e letteratura

Poesia, morte e letteratura, alcune riflessioni sulle tematiche letterarie della poesia e della morte, partendo dalla famosa raccolta Spoon River di Edgar Lee Masters e proseguendo con testi di Shakespeare e Voltaire.

As things are, and as fundamentally they must always be, poetry is not a career, but a mug’s game. No honest poet can ever feel quite sure of the permanent value of what he has written: He may have wasted his time and messed up his life for nothing.
T.S. Eliot

Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co’ bei capelli a onda tua madre… adagio, per non farti male.
Giovanni Pascoli

Un complesso e sofisticato insieme di elementi chimici e fisici, per dare vita ad una macchina termodinamica, l’essere umano, che nell’universo serve a poco e niente, e il cui unico fine è quello di soffrire inutilmente sempre di più.
Carl William Brown

WHERE are Elmer, Herman, bert, Tom, and Charley, The weak of will, the strong of arm, the clown, the boozer, the fighter? All, all, are sleeping on the hill.
Edgar Lee Masters

L’Antologia di Spoon River è una raccolta di 244 poesie in verso libero, scritta da Edgar Lee Masters e pubblicata nel 1915, i testi sono scritti in forma di epitaffio e narrano le vite di vari abitanti immaginari di Spoon River, una piccola città immaginaria nell’Illinois.

Queste poesie offrono uno sguardo intimo e spesso impietoso sulle vite, le passioni, i segreti e i rimpianti dei personaggi, rivelando i conflitti umani, le ipocrisie e le disillusioni presenti nella società americana del tempo, ma che riguardano al tempo stesso l’essere umano in generale.

Le storie che vengono narrate si accavallano e in qualche modo quello che emerge è la parzialità dei punti di vista. Ognuno racconta la propria storia e le storie si intrecciano tra loro frantumandosi in molteplici versioni: quello che è liberatorio è che, finalmente, ogni ospite del cimitero di Spoon River può dire ciò che vuole, infischiandosene della morale comune e delle regole sociali. Ma, liberi di parlare, tutti sono al contempo prigionieri della morte, prigionieri della collina su cui si erge il cimitero di Spoon River.

Dalla tomba in cui sono sepolti, i cittadini di questo piccolo paese americano svelano i segreti della loro vita. In versi sciolti, ma quasi regolari, con una ironia pungente, evocano la vita del villaggio che, al di sotto della spessa coltre puritana, in realtà nasconde concupiscenza e vizio. Il motivo principale del libro sta nella trasformazione dell’amore nel suo opposto, la lussuria. Tutto si deforma e i sogni appassiscono. Ed è attorno alla morte che si gioca l’intreccio di storie di questo canovaccio vitale e funereo al tempo stesso.

Poesie, morte e letteratura
Poesia, morte e letteratura

La raccolta comprende diciannove storie che coinvolgono un totale di 248 personaggi che coprono praticamente tutti i mestieri umani. L’opera di questo cantore dell’Illinois è riuscita, nel nostro paese più che in altri, a scavare nei cuori di generazioni di lettori. In Italia il successo del libro, profondamente liberatorio e libertario, fu dovuto dapprima alla traduzione di Fernanda Pivano e poi all’interpretazione di Fabrizio De André, che diede alla luce un album straordinario come “Non al denaro non all’amore né al cielo”.

Il significato profondo dell’Antologia di Spoon River risiede nella sua capacità di esplorare la complessità dell’esperienza umana e di dare voce a individui che altrimenti sarebbero stati dimenticati o ignorati. Attraverso queste voci, Masters offre una critica sociale e morale della società dell’epoca, mettendo in luce le tensioni tra le apparenze esteriori e la realtà interiore, tra l’aspirazione al successo e la vacuità dell’esistenza, tra la vita pubblica e la vita privata.

Così, l’Antologia di Spoon River invita il lettore a riflettere sulla natura umana, sulla mortalità, sulle illusioni della vita e sulla complessità delle relazioni umane, fornendo un’analisi acuta della condizione umana attraverso le voci dei suoi molti personaggi. E questo in sintesi è il messaggio universale della poesia di tutti i tempi.

Senza alcuna ombra di dubbio anche i personaggi più famosi tra qualche anno saranno morti e nessuno più si ricorderà di loro. C’è dunque una sola via per dare un senso alla propria memoria ed è appunto quella di considerare maggiormente la poesia e la voce dei letterati. Dobbiamo dare spazio alla loro creatività ed unirci a loro, facendo sentire i loro lamenti. La poesia è certamente una forma di religione e di illusione, proprio questo pensava anche Matthew Arnold, soprattutto quando crede di poter, come si auspicava il Leopardi stesso nella Ginestra, creare tra gli uomini una forma di solidarietà e di amore.

Purtroppo invece la poesia diventa triste e scomoda proprio perché non fa altro che rivelarci la tremenda solitudine dell’uomo, e la fugacità di quelle cose che solamente gli possono arrecare un po’ di sollievo in questo difficile cammino che è la vita umana. La poesia insomma non riesce a scalfire quello che anche per Kant è il male più grande dell’uomo, l’egoismo intrinseco della specie e spesso non fa altro che rivelare a chi la frequenta la terribile solitudine dell’artista, il tragico dolore dell’uomo e le enormi difficoltà di comunicazione tra gli esseri viventi. E’ in definitiva quasi sempre un disperato tentativo di comunicare che si perde negli sterminati e gelidi silenzi dell’universo.

In ogni caso, comunque la pensiate, c’è da aggiungere che scrivere poesie non è assolutamente facile e per di più come riteneva Coleridge nessuno è mai stato un grande poeta senza essere nello stesso tempo anche un grande filosofo, e quindi è chiaro che il compito si fa sempre più arduo.

Poesia e letteratura
Poesia e letteratura

Ma noi che ci sentiamo un po’ folli, e R. Burton ci conforta rammentandoci che tutti i poeti sono pazzi, crediamo di poter scorgere nella poesia, che del resto a volte si può benissimo identificare con la prosa, come ci ha insegnato T. Mann, una forma d’arte che si avvicina ai nostri intenti e che comunque rimane un utile e divertente esercizio della parola e dell’intelletto. Inoltre si spera che come sostenne in un suo discorso R. Kennedy la poesia aiuti l’uomo, quando il potere lo spinge all’arroganza, a ricordarsi i suoi limiti, e lo aiuti altresì a purificarsi dalle sue malefatte, dai suoi abusi, dalle sue meschinità e ipocrisie.

Siamo dunque proprio nell’ambito delle illusioni, ma non è detto. La poesia, come la letteratura in generale, deve spingere anche all’azione, dev’essere un’opera pragmatica e civile, con intenti che possono senz’altro essere anche politici e sociali. Per questo talvolta la poesia diventa anche umoristica e satirica e aiuta i nostri ideali repressi ad uscire allo scoperto e a gridare parole di protesta, dandoci al tempo stesso il conforto della fantasia, della risata, e del buon umore che cerca di vendicarsi per tutti i torti e le ingiustizie subite. Alla fine sarà poi vera gloria, ai sempre più esigui lettori l’ardua sentenza.

La poesia del resto anche per Platone non è pratica della ragione, ma è quasi una forma di delirio, di religione, di illusione. Il tardo Platone delle leggi giungerà persino a proporre una serie di norme restrittive e censorie dell’attività dei poeti, applicazioni che non servono ai nostri giorni dove è il mercato a occuparsi di fare in modo che la poesia rimanga ai margini della società.

In effetti la poesia suscita una certa tristezza ed una certa inquietudine che mal si adattano alle moderne e tecnologiche paure di fine millennio. Forse perché come diceva Leopardi la poesia per essere tale deve suscitare qualcosa di lontano, quindi deve essere necessariamente melanconica e nostalgica, proprio perché la felicità è sempre o passata o futura, ma mai presente. Ecco forse perché l’uomo contemporaneo che invece vorrebbe essere felice ora e subito non la gradisce molto.

La letteratura è sicuramente una delle arti dalle potenzialità più provocatorie; con il linguaggio infatti possiamo dire ogni cosa e spesso le parole non fanno altro che rappresentare nelle nostre menti tutto lo squallore della stupida umanità. La letteratura può inoltre migliorare le nostre azioni, purché non rimanga solo uno sterile e indecente esercizio retorico di poveri accademici, di editori miserabili o di critici inconsapevoli.

La vera letteratura nasce come ogni forma di vera arte dal dolore e dal disagio, viceversa potrà anche essere grande, ma non avrà la profondità dell’umana sofferenza che cerca invano di mitigare il suo viaggio con la speranza di un amore vero e fantastico tra tutti gli uomini che pagano un caro prezzo per alloggiare su questa stanca terra e che perciò talvolta preferiscono andarsene, anche se magari non proprio in silenzio.

Così si esprime Natsume Soseki: “Se si usa la ragione il carattere s’inasprisce, se si immergono i remi nel sentimento si è travolti. Se s’impone il proprio volere ci si sente a disagio. E’ comunque difficile vivere nel mondo degli uomini. Quando il malessere d’abitarvi si aggrava, si desidera traslocare in un luogo in cui la vita sia piu’ facile. Quando si intuisce che abitare è arduo, ovunque ci si trasferisca, inizia la poesia, nasce la pittura.”, e la protesta, la rivolta, la ribellione, lo sfogo, l’urlo, la fede, la compassione.

Letteratura, morte e poesia
Letteratura, morte e poesia

Alcuni giorni prima del Natale 1997 nel villaggio di Acteal, nel Chiapas, alcuni gruppi paramilitari, (gli eserciti nascono sempre dalla misera instabilità dell’umanità) simpatizzanti del partito di governo hanno interrotto una funzione cui assisteva una folla di profughi e hanno sparato nel mucchio. All’ospedale Salubridad di San Cristobal de Las Casas c’è una bimba di quattro anni che sta morendo con il cranio fracassato da una pallottola dum-dum, altri quattro bambini si lamentano dalle brandine, uno con un braccio distrutto da un’esplosione, un altro con il collo perforato, un terzo con la faccia sfregiata dalle pallottole.

Quarantacinque persone inermi sono morte e altre ventidue sono rimaste gravemente ferite. I poliziotti erano lì a duecento metri, e non sono intervenuti. Questa azione è stata effettuata per colpire le mamme, i cuochi, le infermiere, i figli, insomma le basi di questa rivoluzione da poveri che da anni insaguina il paese.

Il triste evento nella mente del letterato finisce dove inizia il suo urlo di protesta, il suo sfogo senza luogo né tempo, indirizzato al cuore del potere e della stupida e umana inconsistenza. Non sempre il delitto è una forma d’arte, e non sempre le frasi provocatorie della letteratura sono aspre e senza senso. Soprattutto quando sono rivolte verso l’ipocrisia e l’indifferenza di un’umanità lontana, assonnata, ingorda, insensibile, stupida, atrocemente perbenista e schifosamente anche se geneticamente egoista e materialista. Contro questa umanità si scagliano imperiture e ammonitrici le parole dell’arte, della filosofia e della letteratura:

“Ch’io mi volga indietro a guardarti. O tu, muraglia che ricingi quei lupi, sprofonda nella terra e non proteggere più Atene! Diventate incontinenti, matrone! L’obbedienza sparisca nei fanciulli! Schiavi e pazzi, strappate i grinzosi senatori dai loro seggi e amministrate le leggi in loro vece! In pubbliche bagasce mutatevi all’istante, fresche virginità! Fatelo sotto gli occhi dei vostri genitori! Voi, falliti, tenete duro, e invece di pagare, fuori i coltelli e tagliate la gola dei vostri creditori! Servi giurati, rubate! I vostri austeri padroni sono ladri a man bassa e saccheggiano in nome della legge. E tu serva, va’ nel letto del padrone, poiché la tua signora è di bordello.

Figlio sedicenne, strappa la gruccia imbottita del tuo vecchio padre zoppicante e con essa spaccagli il cervello! Pietà, timore, devozione agli dei, pace giustizia, verità, domestica reverenza, riposo notturno, buon vicinato, cultura, costumi, arti e mestieri, gerarchie, riti, consuetudini e leggi, decadete nei vostri deleteri opposti, e solo viva il caos! Pestilenze che colpite gli uomini, ammassate le vostre potenti e infette febbri su Atene, matura alla rovina! E tu, fredda sciatica, storpia i nostri senatori, così che lussuria e libidine, nel cuore e nel midollo della nostra gioventù, in dissolutezza!

Rogne e pustole, disseminatevi sul petto degli Ateniesi e la loro mèsse sia una lebbra universale! L’alito infetti l’alito, sì che la loro società, come la loro amicizia, sia solo veleno! Da te voglio portar via nient’altro che nudità, o città detestabile! Prendi anche questa con innumerevoli maledizioni! Timone se n’andrà nelle foreste dove troverà bestie selvagge molto più miti dell’uman genere. Confondano gli dei (uditemi voi tutti. buoni dèi!) gli ateniesi, dentro e fuori queste mura! E concedano che con la vita di Timone cresca anche il suo odio per tutta la razza degli uomini, grandi e umili! Amen.

William Shakespeare dal Timone d’Atene (e se Atene non fosse altro che un mondo in miniatura?)

Natura, vita, poesia e letteratura
Natura, vita, poesia e letteratura

L’associazione di idee è alla base della creazione letteraria e non solo, anche la psicanalisi infatti e persino la scienza si basano su questa procedura psichica. Il linguaggio figurale e metaforico traggono così le loro migliori creazioni da queste capriole delle nostre sinapsi e talvolta ne scaturiscono delle storielle molto brillanti e significative, è il caso del breve passo che riportiamo, tratto dal Dizionario Filosofico di Voltarie, un filosofo francese del periodo illuminista.

“I siriani immaginarono che l’uomo e la donna , creati nel quarto cielo, si azzardarono a mangiare una focaccia, invece dell’ambrosia, che era il loro cibo naturale. L’ambrosia si esalava attraverso i pori; mentre, dopo aver mangiato la focaccia, bisognava andare al cesso. L’uomo e la donna pregarono un angelo d’insegnar loro dove si trovasse detto luogo. Vedete, disse l’angelo, quel piccolissimo pianeta laggiù, a circa sessanta milioni di leghe da qui? E’ il gabinetto dell’universo; andateci subito. essi ci andarono, e ci restarono. E da allora il nostro mondo è quel che è.”

Se dobbiamo dunque dar fiducia alla creatività del grande e famoso inventore di uno dei più divertenti romanzi filosofici di tutti i tempi, ovvero Candido o dell’ottimismo, a quanto pare ci ritroviamo a vivere nella merda, ma in fondo in fondo non dobbiamo avere grossi motivi per lamentarci, dopotutto il classico prodotto è un ottimo fertilizzante! Soprattutto per la nostra stupidità!

E allora cosa fare? Semplice, dobbiamo dare spazio alla nostra creatività, alla nostra solidarietà, alla nostra umanità e dobbiamo far sentire la nostra voce contro la ridondanza della più stupida e capitalistica vanità! Tra alcuni anni nessuno di noi sarà ancora su questa terra ed è proprio per questo che dobbiamo lasciare in eredità delle idee creative, poetiche, amicali, fraterne e geniali. Viceversa tra poco tempo nessuno più saprà che un giorno, nemmeno troppo distante nel tempo, siamo esistiti.

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