Idee, parole, metafore e riflessioni
 
Riflessioni sul teatro

Riflessioni sul teatro

Riflessioni sul teatro
Riflessioni sul teatro (Molière)

Riflessioni sul teatro, penseri, idee, analisi contenute in testi brevi, ma profondi e significati sul teatro, gli attori, lo spettacolo e il triste palcoscenico del mondo.

No, è un’avversione generale, e gli uomini li odio tutti. Gli uni perché sono malvagi e vivono in modo malvagio, gli altri perché ai malvagi si mostrano compiacenti, invece di nutrire per loro quell’odio vigoroso che il vizio deve suscitare in un animo virtuoso.
Molière, Il misantropo

Il teatro costituisce da sempre quel luogo dove si realizzano le grandi sperimentazioni e le grandi invenzioni del pensiero e della sua mimica. Il teatro non è altro che il ternario drammaturgico composto dai testi, dagli attori e dal pubblico, parte fondamentale di ogni rappresentazione. All’origine nasce come manifestazione di eventi e rituali religiosi e si allarga via via a tutte le manifestazioni della vita umana, toccandone gli aspetti più importanti e caratteristici, a volte tristi e drammatici, originando così la tragedia, e a volte più divertenti e canzonatori, originando così la commedia.
Carl William Brown

Il teatro più grande e famoso è da sempre la vita, la quale appunto altro non è che il grande palcoscenico del mondo, come diceva il maestoso William Shakespeare! Noi tutti dunque non siamo altro che attori, povere ombre che recitano e scalpitano in diverse scene e poi sono destinati a finire nel silenzio di un backstage che nessuno ha mai visto e nessuno conosce! L’importante diceva il vecchio William è che si abbia almeno la possibilità di cambiare un po’ i ruoli e che non si debbano interpretare sempre ruoli tristi. Purtroppo però questa è una tragica realtà per alcuni!
Carl William Brown

Se è vero che non tutti possono vivere al meglio la propria esperienza teatrale nel mondo e anche pur vero che da questi ruoli tristi e drammatici nascono i personaggi megliori, gli eroi, gente che si sacrifica pur di non venire meno ai propri ideali! Ma la tragedia non è che l’altro lato della commedia, forse della farsa, cambia solo la forma dell’espessione, il contenuto è sempre quello! E poi anche nelle tragedie più atroci vi era sempre un intermezzo comico! Certamente il nostro approccio umoristico supera tutti questi canoni convenzionali e si ripromette dunque di non dimenticarsi delle avanguardie più originali, citando ad esempio il teatro della crudeltà di Artaud e il suo tentativo di sovvertire la banale logica del pensiero ordinario.
Carl William Brown

In ogni caso il teatro si nutre dell’inventiva dei suoi artefici, come ben ci ricordano gli inventori della commedia dell’arte italiana, e nei vari secoli ha dato luogo a delle manifestazioni grandiose, a partire dai classici greci e latini, con Aristofane e Plauto, per giungere fino agli odierni Beckett, Ionesco e Pirandello, passando per Shakespeare, Molière, Goldoni e tanti altri! Il teatro deve comuqnue rimanere un grande fenomeno colletivo di svago e di divertimento, oltre che di riflessione intellettuale, ecco perché noi rimpiangiamo quelle belle manifestazioni di un tempo, in cui il pubblico, non passivo come ai nostri giorni, magari tirava anche dei bei pomodori agli attori in scena! Lì si che c’era la vera partecipazione del pubblico!
Carl William Brown

Teatro religioso
Teatro religioso

Il teatro ha il suo tempo. Quando la fantasia di un popolo diminuisce, nasce in esso la tendenza a farsi rappresentare sulla scena le sue leggende, è allora che esso sopporta i grossolani surrogati della fantasia – ma per quel tempo cui appartiene il rapsodo epico, il teatro e il commediante travestito da eroe sono freni invece che ali alla fantasia: troppo vicini, troppo determinati, troppo pesanti, troppo poco sogno e volo d’uccello.
Friedrich Nietzsche

Il mio disprezzo per l’attore contemporaneo è qui: nella sua tanto ricercata incapacità di mentire, nel suo elemosinare una sciagurata attendibilità; nella sua ormai troppo provata incapacità di rimettere in gioco ogni sera il modo stesso di far teatro; nel suo terrore imbecille d’autoemarginazione; nel suo noioso cicalare di “crisi del teatro” e perciò mai tentato abbastanza dal valzer d’un teatro della crisi
Carmelo Bene

Nel teatro la parola vive di una doppia gloria, mai essa è così glorificata. E perché? Perché essa è, insieme, scritta e pronunciata. È scritta, come la parola di Omero, ma insieme è pronunciata come le parole che si scambiano tra loro due uomini al lavoro, o una masnada di ragazzi, o le ragazze al lavatoio, o le donne al mercato – come le povere parole insomma che si dicono ogni giorno, e volano via con la vita.
Pier Paolo Pasolini

Il tradimento è la cosa più nobile che si possa fare, soprattutto in teatro… Una volta il testo veniva, viene tuttora, ahimè, in Occidente riferito; si impara a memoria; cioè è un teatro del detto, del già detto, … e non del dire, che sconfessa il detto e si sconfessa anche in quanto dire.
Carmelo Bene

Il terzo occhio. Che cosa? Tu hai ancora bisogno del teatro? Sei ancora così giovane? Metti giudizio e cerca la tragedia e la commedia laddove son meglio recitate. Dove tutto accade in maniera più interessante e più interessata. Si, non è molto facile restarci proprio soltanto da spettatori – ma impara! E in quasi tutte ]e situazioni che ti riusciranno difficili e penose, avrai una porticina per la gioia e un asilo, anche quando piomberanno su di te le tue stesse passioni. Apri il tuo occhio teatrale, il grande terzo occhio che scruta il mondo attraverso gli altri due!
Friedrich Nietzsche

Fra cent’anni il mondo sussisterà ancora nella sua interezza: stesso teatro, stesse scene, non più
gli stessi attori. Quanti si rallegrano per una grazia ricevuta, o si rattristano e disperano per un rifiuto, saranno tutti scomparsi dalla scena. Avanzano già sulla ribalta altri uomini pronti a recitare in una stessa commedia le stesse parti; scompariranno a loro volta; e quanti ancora non sono un giorno non esisteranno più: nuovi attori ne hanno preso il posto. Che affidamento fare su un personaggio da commedia!
Jean de La Bruyère

Il grande att

Il grande attore Gigi Proietti
Il grande attore Gigi Proietti

Perché a teatro prima di uno spettacolo si dice “merda merda merda”? probabilmente la versione più attendibile, vuole che la singolare maniera di augurarsi la buona riuscita dello spettacolo nasca tra il Sette e l’Ottocento, quando cioè, nel passaggio tra il cosiddetto “ancien régime” e l’età contemporanea, il “grande teatro”, quello dei grandi nomi noti a livello nazionale e internazionale, smise di essere passatempo popolare per eccellenza per rivolgersi quasi esclusivamente a un pubblico alto e medio borghese. Una classe sociale che era solita recarsi alle “prime” in carrozza. Se quindi nel parcheggio del teatro si accumulava “tanta merda”, significava che c’erano tanti cavalli e tante carrozze. E quindi tanto pubblico e tanti guadagni. Dire “merda” equivaleva quindi ad augurarsi che si riempisse il teatro, per poi diventare un generico augurio di riuscita della recita.
Storia del teatro

Nella musica il valore della composizione ha più peso del valore dell’esecuzione; per contro nelle rappresentazioni di opere teatrali il rapporto è esattamente invertito. Una composizione eccellente, cioè, anche se mediocremente eseguita, purché sia eseguita in modo giusto e non alterato, procura assai più godimento dell’eccellente esecuzione di una composizione cattiva. Invece una cattiva opera teatrale, recitata da attori eccellenti, procura un diletto assai maggiore dell’opera teatrale più perfetta recitata da attori da strapazzo.
Arthur Schopenhauer

Da cosa dipende che a teatro si rida tanto liberamente e ci si vergogni di piangere? Intenerirsi di fronte alla scena pietosa è forse meno naturale che scoppiare a ridere di fronte a quella ridicola? Ci trattiene forse l’alterazione delle fisionomie? È più intensa in un riso smodato che nel più amaro dolore; e si gira il viso per ridere come per piangere alla presenza dei grandi e di quanti si rispettano. Forse è un disagio che si prova nell’apparire commossi e farsi notare in una qualche debolezza, soprattutto di fronte a un soggetto finto e da cui sembra che ci si lasci ingannare. Ma anche senza chiamare in causa le persone gravi o gli spiriti forti che, riconoscendo segni debolezza sia in un riso eccessivo sia nelle lacrime, si trattengono da entrambi, cosa ci si aspetta da una scena tragica? Che faccia ridere? E d’altronde la verità, attraverso le sue immagini, non vi regna altrettanto vivamente quanto nel comico? L’anima non penetra forse fino al vero nell’uno e nell’altro genere prima di commuoversi? Pensate che essa si accontenti così facilmente? Non necessita anche della verosimiglianza? Come dunque non è strano udire un riso generale levarsi da un intero anfiteatro a un certo punto di una commedia, e ciò presuppone invece che sia solo divertente e molto naturalmente interpretato, così l’estrema violenza che ognuno s’infligge per trattenere le lacrime e il riso sforzato con cui si vuole coprirle provano chiaramente che l’effetto naturale della grande tragedia sarebbe di piangere tutti spontaneamente e di concerto alla vista di tutti, senz’altro imbarazzo che quello di asciugarsi le lacrime, oltre al fatto che, dopo aver convenuto di abbandonarvisi, si riconoscerebbe pure che a teatro c’è spesso meno da temere di piangere che di tediarsi.
Jean de La Bruyère

Ieri mi accontentavo di recitare parti secondarie sul limitato palcoscenico della vita, ma oggi ho compreso che questo accontentarsi è una sorta di pigrizia. Prima guardavo la vita attraverso lacrime e risa, ma oggi vedo la vita attraverso aurei e incantevoli raggi di luce che conferiscono forza all’anima, coraggio al cuore e movimento al corpo.
Kahlil Gibran

Commedia dell'arte Italiana
Commedia dell’arte Italiana

Il tempo e lo spazio sono i palcoscenici che, per la recita, innumerevoli verità hanno sviluppato con l’aiuto dei nostri cervelli e noi vi recitiamo come marionette volontarie, convinte, devote e voluttuose. Non vedo cosa vi sia in ciò da rattristarsi, al contrario mi diletto in questa convinzione del mio ruolo, e tale ruolo, tutto sommato, se tutto lo motiva, è proprio ognuno da solo che lo inventa.
André Gide

Essere attore, spesso significa fare la muta, come un serpente. Si sa che gli animali sono fragili nel momento in cui cambiano pelle. Per noi è la stessa cosa. Al momento della metamorfosi, anche noi come loro, dobbiamo appartarci, metterci al sicuro, proteggerci. È il lato buio della nostra professione. Ma esistono anche lati luminosi. La libertà che ci dà, cambiando pelle, di vivere mille vite… Agli attori non si chiede di avere dei punti in comune con i personaggi. Se esistono, tanto meglio! Ma se il ruolo non fa vibrare alcuna corda sensibile, tanto peggio. L’attore dovrà essere capace di cercare, scavare, attingere dal profondo delle sue emozioni, per trasformarle fino a trovare la giusta espressione… Gli attori non sono in nessun posto, o meglio, sono dappertutto nello stesso momento. Hanno tutte le età, tutti gli accenti, hanno mille vite… Bisogna essere sensibili per fare l’attore, ma bisogna anche essere forti. È la grande difficoltà di questo mestiere… Colui che costruisce il proprio personaggio solo con l’ausilio dell’intelligenza, della freddezza o del cinismo, che si accontenta di mimare, come una scimmia, non può essere un attore.
Claudia Cardinale

Diceva Flaiano, a scuola “Sempre caro mi fu quest’ermo colle” diventa “Questa collina mi è sempre piaciuta”! Istruzione “obbligatoria”? Ma che siamo in Siberia? Ma perché bisogna istruirsi? Su che cosa? E poi chi deve istruirmi? Lo Stato? E chi è lo Stato? Ma chi l’ha votato questo Stato? Chi l’ha eletto? Come dice Deleuze, c’è un potere del teatro che è peggiore del potere dello Stato.“
Carmelo Bene

Credo di continuare un discorso laddove anche Antonin Artaud fallì. Io ho ripreso il discorso di Artaud, cioè quello della scrittura di scena, contro il testo; un testo, un teatro di testo, diceva Antonin Artaud, è un teatro di invertiti, di droghieri, di imbecilli, di finocchi; in una parola di Occidentali. […] Dopo secoli, quattro secoli (già però ventilata in Shakespeare ed in tutto il teatro elisabettiano) […] ecco finalmente la scrittura di scena. Una volta il testo veniva, viene tuttora, ahimè, in Occidente riferito; si impara a memoria; cioè è un teatro del detto, del già detto, … e non del dire, che sconfessa il detto e si sconfessa anche in quanto dire. Si tende delle trappole il dire al dire stesso. Non è mai un dire del medesimo, comunque. Quindi la scrittura di scena è tutto quanto non è il testo a monte, è il testo sulla scena. Quindi, il testo ha la medesima importanza che può avere il parco lampade, la musica, un pezzo di legno, di cantinella qualunque, un barattolo. Questo è il testo nella scrittura di scena. Chiaramente affidata alla superbia dell’attore, dell’attore in quanto soggetto, non più dell’attore in quanto Io, cioè in quanto immedesimazione in un ruolo.
Carmelo Bene

Carmelo Bene il Genio
Carmelo Bene il Genio

Della moralità del palcoscenico. Chi pensa che il teatro shakespeariano abbia un influsso morale e che lo spettacolo di Macbeth distolga irresistibilmente dal male dell’ambizione, si sbaglia: e si sbaglia ancora una volta se crede che lo stesso Shakespeare abbia sentito come lui. Chi realmente è posseduto dalla furia dell’ambizione, vede con diletto questa sua immagine, e se l’eroe perisce a causa della sua passione, è proprio questa la droga più piccante nell’ardente bevanda di questo piacere. E il poeta ha forse sentito diversamente?

Con quale regalità e assoluta assenza di ribalderia il suo ambizioso percorre la propria strada, a partire dal momento del grande misfatto ! Soltanto da allora comincia ad esercitare un’attrazione «demoniaca» e stimola nature affini a imitarlo, – demoniaco significa in questo caso: a dispetto e contro l’interesse e la vita, a vantaggio di un pensiero e di un impulso. Credete forse voi che Tristano e Isotta dessero un ammaestramento contro l’adulterio per il fatto che a causa di esso vanno in rovina? Questo significherebbe fraintendere radicalmente i poeti : essi che, come in particolar modo Shakespeare, sono innamorati delle passioni in sé, e in misura non irrilevante degli stati d’animo in cui esse dànno una propensione alla morte, stati d’animo in cui il cuore non sta attaccato alla vita più tenacemente di una goccia sul vetro.

Non sta loro a cuore la colpa e il suo triste epilogo, si tratti di Shakespeare oppure di Sofocle (nell’Aiace , nel Filottete, nell’Edipo): per quanto sarebbe stato facile, nei casi suddetti , fare della colpa la leva del dramma, proprio questo è senz’altro evitato. Altrettanto poco si cura il poeta tragico di creare con le sue immagini della vita un senso di ostilità contro la vita ! Egli grida invece: «È l’incanto di tutti gli incanti, questa esistenza eccitante, mutevole, pericolosa, oscura e spesso rovente di sole ! È un’avventura la vita, – prendiate questo o quel partito, manterrà sempre questo carattere!». Cosi egli parla secondo la prospettiva di un tempo inquieto e colmo di forza, un tempo che è quasi ebbro e stordito della sua sovrabbondanza di sangue e d’energia, un tempo più malvagio di quanto non sia il nostro: per cui siamo costretti innanzi tutto a predispo”e e ad adattare, per noi, il fine di un dramma shakespeariano, vale a dire, a non comprenderlo.
Friedrich Nietzsche

In che cosa consiste il talento dell’attore? Nell’arte di travestirsi, di assumere un carattere diverso dal proprio, di apparire differenti da come si è, di appassionarsi a sangue freddo, di dire cose diverse da quelle che si pensano con la stessa naturalezza che si avrebbe se le si pensasse realmente, di dimenticare infine la propria condizione a forza di assumere quella degli altri.
Jean-Jacques Rousseau

Teatro Greco
Teatro Greco

La vanità è essenzialmente spettacolo e teatro, due parole che rimandano all’atto del guardare, osservare, contemplare, ammirare: nessuno sarebbe vanitoso, nessuno anzi avrebbe alcuna ragione di manifestarsi nel minimo gesto, se non potesse vedersi e, soprattutto, essere visto.
Mario Andrea Rigoni

Che cosa è il mestiere dell’attore? Un mestiere a causa del quale ci si offre pubblicamente per denaro, ci si sottomette all’ignominia e agli affronti di chi peraltro ha acquistato il diritto di farli, si mette in vendita la propria persona. Scongiuro qualunque uomo onesto di dire se non sente nell’intimo del suo cuore che in questo commercio di se stessi vi è qualcosa di servile e di basso. Voi filosofi, che pretendete di essere tanto
Jean-Jacques Rousseau

Se il socratismo dialettico caccia il miracolo dalla scena, per instaurarvi il testo razionale disastrosamente affidato alla lettura di attori ‘intellettuali’, il teatro è morto. È inutile linutile della grande estate tragica […] Il teatro è sfinita e insensata rappresentazione, cerimonia funebre officiata da un prete cialtrone (il nus di Anassagora), reggitore e ‘coordinatore del tutto’: il regista e un suo chierico; cercano entrambi ‘un letto in un domicilio altrui’. Figurarsi gli astanti: senza fede alcuna e nessuna parentela col defunto, convenuti un po’ a svagarsi a questo funerale a pagamento.
Carmelo Bene

Il teatro, il grande teatro è un non-luogo soprattutto, quindi è al riparo da qualsivoglia storia. È intestimoniabile. Cioè, lo spettatore per quanto Martire, testimone, nell’etimo (da marthyr), per quanti sforzi possa compiere lo spettatore, dovrebbe non poter mai raccontare ciò che ha udito, ciò di cui è stato posseduto nel suo abbandono a teatro. Ecco che l’attore non basta più, il grande attore nemmeno. Bisogna essere una macchina, eh…, come io (tra parentesi) l’ho definita, attoriale. Che cos’è una macchina attoriale?… Comunque deve essere amplificata… L’amplificazione è un strana cosa… L’amplificazione non è assolutamente […] un ingrandimento, ma è come guardare questa pagina… Se io la guardo in questo modo, ecco, così, ecco… io vedo e così sento; ma se io avvicino questo [foglio], più l’avvicino, più i contorni svaniscono. I contorni svaniscono e non vedo più un bel niente.
Carmelo Bene

Ricordo a tutti che io sono un comico. Non ho amici e non ho nemici. Non ce l’ho personalmente con nessuno. Io leggo i giornali, osservo la realtà e cerco di far ridere con paradossi, canzoni e sketch. Non fate dietrologie, non attribuitemi strategie… insomma evitate di associare il mio lavoro con parole che finiscono con “gie”.
Maurizio Crozza

L'Attrice Paola Borboni
L’Attrice Paola Borboni

Con Benigni siamo amici da anni. Lui è grande nel “buffo”, ma lasciamo stare il “comico”. I buffi sono concilianti, rallegrano la corte e le masse. Il comico che interessa a me è un’altra cosa. Cattiveria pura. Il ghigno del cadavere. Il comico è spesso involontario. Specialmente quando si sposa con il sublime.
Carmelo Bene

È tutta la vita che tolgo di scena il burattino, l’incubo di un pezzo di legno che ci si ostina a voler farcire con carne marcia. Precipitare nell’umano – che parola schifosa – questa è la disavventura. Gli anatomisti gridano al miracolo quando parlano del corpo umano. Ma quale miracolo?! Un’accozzaglia orrenda, inutilmente complicata, piena di imperfezioni e di cose che si guastano.
Carmelo Bene

Non mi vergogno d’essere nell’equivoco italiota. Non mi interessano gli Italiani, ecco. Qualunque governo, come qualunque arte, è borghese: tutta l’arte è rappresentazione di Stato, è statale. È uno Stato che si assiste fin troppo. “Se no alla mediocrità chi ci pensa?”. La mediocrità, par excellence, è proprio lo Stato. Lo Stato dovrebbe smetterla di governare: si può dare uno Stato senza governo, mi spiego? [… ] Me ne infischio del governo, della politica, del teatro soprattutto [… ] Me ne frego di Carmelo Bene, io. Voi no, ma io sì. Sull’arte, Su Dio „Si nasce e si muore soli, che è già un eccesso di compagnia.
Carmelo Bene

Nuovi attori. Fra gli uomini non esiste nessuna banalità più grande della morte ; seconda nell’ordine viene la nascita, poiché non tutti quelli che muoiono nascono anche; poi segue il matrimonio. Ma queste piccole e logore tragicommedie vengono rappresentate, in ognuna delle loro non numerate e non numerabili esecuzioni, sempre da attori nuovi, e non cessano perciò di avere spettatori interessati: mentre si dovrebbe credere che l’intero pubblico del teatro della terra si fosse dovuto già da tempo, per noia di esse, impiccare a tutti gli alberi. Tanta importanza hanno i nuovi attori, tanto poca ne ha il dramma.
Friedrich Nietzsche

Filosofia degli attori. È una beata illusione dei grandi attori, che i personaggi storici da essi rappresentati abbiano realmente avuto quegli stessi sentimenti che essi provano nel recitare la loro parte, – ma in ciò commettono un madornale errore : la loro forza imitativa e divinatoria, che essi vorrebbero volentieri gabellare per una facoltà chiaroveggente, penetra abbastanza a fondo, ma appunto soltanto per spiegare i gesti, gli accenti e gli sguardi e l’aspetto esteriore in generale ; essi colgono cioè l’ombra dell’anima di un grande eroe, di uno statista, di un guerriero, di un ambizioso, di un geloso, di un disperato, penetrando fin nei pressi dell’anima, ma non fino allo spirito dei loro oggetti. Indubbiamente sarebbe una bella scoperta, che occorresse soltanto l’attore chiaroveggente, invece dei pensatori, dei competenti, degli specialisti tutti, per illuminare nelle sue profondità l’essenza di una qualsivoglia condizione ! Tuttavia non dobbiamo dimenticare, appena si fanno sentire tali pretese, che l’attore è appunto una scimmia ideale e scimmia a tal punto che non può affatto credere all’«essenza» e all’«essenziale»: tutto è per lui giuoco, suono, gesto, scena, fondale e pubblico.
Friedrich Nietzsche


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