Riflessioni sull’Italia, una impietosa radiografia della stupidità del bel paese e dei suoi poveri abitanti, con esempi concreti e racconti brevi.
L’italiano va in guerra sperando che qualcuno lo aiuti a vincerla.
Roberto Gervaso
Tempesta di neve in Appennino. Circolazione ferroviaria in tilt. Verso le tre del pomeriggio arrivo alla stazione di Bologna per prendere un treno per Milano, e vedo la paralisi di un’intera nazione. Nell’antro dell’alta velocità, i treni sono in ritardo di tre, quattrocento minuti. I collegamenti con Roma sono saltati.I tabelloni elettronici, per mancanza di spazio, mostrano ancora treni previsti per le dieci del mattino ma non quelli funzionanti, in arrivo imminente.
Gli annunci automatici sono resi incomprensibili dall’agitarsi del pubblico, posseduto da un frenetico andirivieni. Impossibile sedersi, fuori fa freddo, la sala d’aspetto è strapiena. Eppure, nonostante il frenetico andirivieni, nella pancia della stazione regna un’impressionante assenza di voci. Nessuno impreca. Comunicazione interpersonale, zero. Tutti sono chini sugli smartphone, chiusi in una bolla, e ciascuno cerca separatamente vie d’uscita alternative. Il web è un sedativo perfetto. Chi digita non protesta. Confina la rabbia sul Twitter. Continuerà a rifugiarsi in una realtà parallela.
È allora che, in uno dei corridoi sotto i binari della stazione, registro la visione surreale di due soldati in mimetica che, anziché soccorrere i naufraghi delle Frecce, attorniano in armi uno straniero di pelle scura che sta cercando affannato nella giacca documenti di cui verosimilmente è privo. Passano dei ragazzi con lo zaino, alcuni deridono il “clandestino”, ma la forza pubblica non reagisce.
Una signora anziana interviene: “Ma perché ve la prendete con i poveracci, con tanti ladri in circolazione?”. Nemmeno allora gli uomini in uniforme danno cenno di reazione.
La situazione è esemplare. Mai mi è apparsa più chiara la funzione del capro espiatorio.
In assenza di soluzioni alla crisi, l’autorità punisce l’alieno, indicandolo come obiettivo alla rabbia della gente. Un depistaggio magistrale.
Una radiografia perfetta del Paese. L’Italia è taglieggiata dalle camorre e da eserciti di evasori, desertificata dalla grande distribuzione, divorata dall’incuria, governata dai talk show, saccheggiata dalle banche, bastonata dalle tasse e massacrata dalla burocrazia, ma ha come unica ossessione il migrante.
Non le ondate violente, spietate, pagane. Unni, Vandali, Visigoti, Longobardi, Slavi, Ungari, ma una migrazione di diseredati.
I barbari adesso siamo noi…
Paolo Rumiz – Il filo infinito –
Un principe italiano del rinascimento, quando il prete che lo assisteva vicino al letto di morte gli chiese se aveva da pentirsi di qualche cosa, gli disse: “Sì, di una: tempo fa ho ricevuto contemporaneamente la visita dell’imperatore e del papa. Io li ho condotti in cima alla mia torre ad osservare il panorama, ma non ho approfittato dell’occasione per buttarli di sotto tutti e due, cosa che mi avrebbe dato una fama immortale”.
Questa storiella citata da Bertrand Russell nel suo libro Un’etica per la politica mi è sembrata ottima per iniziare questo libello, sia per sottolineare la genialità di tanti personaggi del nostro paese, sia per richiamarne metaforicamente la grande presenza di potere, di autorità e di stupidità che pervade tutte le varie attività dei suoi più illustri amministratori e che quindi non può fare altro che inquinare drammaticamente tutto il territorio nazionale.
Carl William Brown
Almeno 10mila richiedenti asilo e rifugiati in Italia vivono fuori dai centri, in condizioni di precarietà e marginalità, senza assistenza istituzionale e con scarso accesso alle cure mediche, in decine di siti informali. Lo denuncia il nuovo rapporto di MSF “Fuori campo”, che punta il dito anche contro il sistema di accoglienza ufficiale. “Collasso evitato solo perché i migranti fuggono anche dall’Italia”.
“Per quasi un anno abbiamo visitato edifici occupati, baraccopoli, casolari, parchi e stazioni ferroviarie, in aree rurali ma anche in centri cittadini, e abbiamo documentato una realtà disarmante, pressoché ignorata dalle istituzioni” dichiara Giuseppe De Mola, ricercatore di MSF. “Migliaia di uomini, donne, bambini, persone vulnerabili che sono fuggite da situazioni drammatiche e avrebbero ogni diritto a ricevere assistenza, vivono in condizioni deplorevoli, con barriere spesso insormontabili che compromettono l’accesso a cure essenziali.”
Gabriella Meroni
Dei furbi e dei fessi
I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. I furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta. Non bisogna confondere il furbo con l’intelligente. L’intelligente è spesso un fesso anche lui. Il furbo è sempre in un posto che si è meritato non per le sue capacità, ma per la sua abilità a fingere di averle. Colui che sa è un fesso.
Colui che riesce senza sapere è un furbo. I fessi hanno dei principi. I furbi soltanto dei fini. Dovere: è quella parola che si trova nelle orazioni solenni dei furbi quando vogliono che i fessi marcino per loro. L’Italia va avanti perché ci sono i fessi. I fessi lavorano, pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi che non fanno nulla, spendono e se la godono. L’Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno.
Il furbo è in alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’italiano in generale ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta. Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l’esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia.
La vittima si lamenta della furbizia che l’ha colpita, ma in cuor suo si ripromette di imparare la lezione per un’altra occasione. La diffidenza degli umili che si riscontra in quasi tutta l’Italia, è appunto l’effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo delle sempre nuove scaltrezze di quelli.
Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, 1921
Lo Stato evoca sempre più in Italia il participio passato del verbo stare. Sia che si denunci la sua latitanza, sia che si auspichi la sua limitazione, si attribuisce allo Stato un’irreversibile senescenza. Che per i primi coincide con l’immagine di una sua paralisi letale e per i secondi coincide con l’idea di un ingombrante fardello. Ma in entrambi i casi si denuncia la passività di questo grande Fratello a carico. Lo Stato non c’è, ma ci sono i suoi molteplici tentacoli burocratici ed economici, aggiungono altri. Lo Stato non c’è, ma nelle sue stanze in rovina c’è uno sterminato popolo di dipendenti pubblici, milioni di orfani dello Stato a carico della società.
Marcello Veneziani
Non solo moda e cibo. Anche fucili, pistole, bombe, velivoli, mezzi blindati e corazzati. È la nuova frontiera del “Made in Italy”, il record dell’export nazionale: l’Italia ha superato la Russia ed è ora il secondo produttore mondiale di armi, dopo gli Usa. Evidentemente anche il bel paese ha fatto tesoro delle riflessioni del grande bardo (William Shakespeare) che, nel suo Coriolano, affermava appunto che la guerra uccide più cornuti di quanto non la pace generi uomini. E poi ci si riempie tanto la bocca di belle parole come democrazia, libertà, fratellanza, diritti umani, pace nel mondo, e naturalmente la chiesa e il papa soprattutto pregano a più non posso e danno la loro benedizione urbi et orbi, alla faccia di tutti quegli atei polemisti e senza cuore che continuano a sostenere che tutti questi burocrati clericali non fanno una beata minchia, infatti siamo o non siamo tutti figli di Dio e quindi fratelli, ed inoltre non sono le armi le vere responsabili, ma il loro uso improprio, e quindi alla fine della storia non tutto il male viene per nuocere, in quanto non sarebbe così se il male fosse male, e non fosse invece un bene! Ecco dunque la vera “coincidentia oppositorum”, ecco la vera duale e singola verità, ecco la vera divinità, ecco la suprema stupidità.
Carl William Brown
Non ho mai sofferto di patriottismo, ritenendomi biologicamente apolide non avrei problemi a lasciare questa terra (in tutti i sensi), eppure questa cantilena m’infastidisce, perché la sento da tutta una vita: quando vivevo a Napoli mi dicevano “ma che ci fai a Napoli? Dovresti andare a Roma! Lì c’è più movimento!” Quando mi spostai a Roma, cominciarono a dirmi “ma che ci fai a Roma? Dovresti andare a Milano! Ci sono più possibilità!” Arrivato a Milano, mi suggerirono di lasciare l’Italia; questa storia delle possibilità non la bevo più, diciamo le cose come stanno: la verità è che sto sulle scatole e dicono così per mandarmi fuori dagli zebedei! Se andassi in Germania mi consiglierebbero di spostarmi in Inghilterra, dove mi spedirebbero in Islanda e da lì in un attimo mi ritroverei sul pack della Groenlandia, solo come il testicolo di un monorchide.
Andros
Abbiamo dunque il sospetto che l’enfatizzato ed invocato 1993 di Maastricht non segni per noi la nascita dell’Europa ma la fine dell’Italia. Non c’è bisogno di essere apocalittici per vedere lo spettacolo che si compone davanti ai nostri occhi: non vediamo in giro segnali di gravidanza per una nuova entità politica e culturale, oltre che economica e sociale; vediamo piuttosto, l’agonia di un paese allo sfascio che celebra il suo sfascio, lo inscena e lo rende perfino spettacolare, diventando quasi la fiction di se stesso, la sua rappresentazione televisiva. Si sentono a destra e a manca lunghi sospiri che sembrano un po’ di sollievo per quest’Italia che volge alla fine, e un po’ sembrano rantoli per questa cessazione d’esercizio. C’è chi si richiama all’Europa come un lenzuolo per coprire le miserie pubbliche e le avidità private di un paese; e chi, invece, con quel lenzuolo tenta l’evasione della cittadinanza onerosa di italiano. Un po’ minaccia e un po’ toccasana, l’Europa non appare un entità positiva ma semplicemente una negazione: l’Europa è l’Anti-Italia, così viene concepita dalla gente.
Marcello Veneziani
Per approfondire l’argomento vi consiglio:
L’Italia in breve Aforismi e citazioni