Storia e interpretazioni del Carnevale.
Le date del Carnevale cambiano ogni anno, essendo una festa mobile e sono diverse tra rito ambrosiano e romano. Quest’anno, ovvero il 2024, il periodo del Carnevale inizia il 28 gennaio e finisce il 13 febbraio, cosiddetto Martedì Grasso: la domenica di Carnevale è l’11 febbraio.
Sia in greco sia in latino, fino a Tertulliano, il significato che si dava al termine persona (che è l’equivalente del greco prosopon) era quello di “maschera” oppure di volto.
Battista Mondin
La quaresima viene dopo il carnevale per ricordarci che siamo polvere e non coriandoli.
Franco Lissandrin
A carnevale tutto il mondo è giovane, anche i vecchi. A carnevale tutto il mondo è bello, anche i brutti.
Nicolaï Evreïnov
San Valentino e Carnevale cadono nello stesso mese. Trovo stupido mettere così vicino due feste di maschere.
Francesco D’Antonio
A Carnevale ogni scherzo vale, ma che sia uno scherzo che sa di sale.
Proverbio
Odio il Carnevale. Ci provi con una principessa Disney e ti ritrovi a letto con un camionista di Brembate.
Anonimo
Avete fatto caso che l’ultima domenica di carnevale i cimiteri sono un mortorio?
Totò
Il termine deriverebbe dal latino “carnem levare” (eliminare la carne), poiché indicava il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale (Martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della Quaresima. In alternativa si è ipotizzato che il termine possa invece aver tratto origine dall’espressione latina carne levamen (avente l’analogo significato di “eliminazione della carne”), oppure dalla parola carnualia (“giochi campagnoli”) o ancora dalla locuzione carrus navalis (“nave su ruote”, quale esempio di carro carnevalesco) se non addirittura da currus navalis (“corteo navale”), usanza di origine pagana e occasionalmente sopravvissuta fino al XVIII secolo tra i festeggiamenti del periodo. Le prime testimonianze dell’uso del vocabolo “carnevale” (detto anche “carnevalo”) vengono dai testi del giullare Matazone da Caligano alla fine del XIII secolo e del novelliere Giovanni Sercambi verso il 1400.
I festeggiamenti maggiori avvengono il Giovedì grasso e il Martedì grasso, ossia l’ultimo giovedì e l’ultimo martedì prima dell’inizio della Quaresima. In particolare il Martedì grasso è il giorno di chiusura dei festeggiamenti carnevaleschi, dato che la Quaresima nel rito romano inizia con il Mercoledì delle ceneri e si festeggia da Venezia a Rio De Janeiro, tra maschere, travestimenti, dolci e scherzi. Una piccola differenza è rappresentata dal Carnevale ambrosiano, la cui durata – finisce infatti con il «sabato grasso», quattro giorni dopo rispetto al tradizionale «martedì» («il martedì grasso» è il giorno che precede la Quaresima e la tradizione vuole che nella giornata si consumino i dolci fatti in casa, in vista del periodo di digiuno che seguirà) – sembra risalire a un pellegrinaggio del vescovo Ambrogio che aveva annunciato il suo ritorno «in tempo per celebrare con i milanesi le ceneri». La popolazione posticipò il rito alla domenica successiva per aspettarlo. È nel Medioevo che ritroviamo molti aspetti della festa attuale.
Il Carnevale italiano si distingue per le sue maschere regionali e tradizionali, ognuna con le proprie caratteristiche: da Arlecchino a Pulcinella. E ogni regione ha anche i propri dolci tipici e tradizionali, come le chiacchiere, conosciute anche come frappe o bugie. L’Italia vanta la presenza di alcuni dei Carnevali più belli e famosi del mondo: Venezia, Viareggio, Putignano, Ivrea e altri. Una curiosità? Uno dei simboli del Carnevale sono, assieme alle stelle filanti, i coriandoli di carta che nacquero nel 1875 da un’idea dell’ingegnere Enrico Mangili di Crescenzago (Milano).
L’ingegnere li realizzò a partire dalle carte traforate usate per l’allevamento dei bachi da seta. Un’invenzione contesa con un altro ingegnere di Trieste, Ettore Fenderlche, che nel 1876 ritagliò dei triangolini di carta. Il carnevale è una festa mobile che si celebra nei paesi di tradizione cristiana e in particolare in quelli di rito cattolico: i festeggiamenti si svolgono spesso in pubbliche parate in cui dominano elementi giocosi e fantasiosi, in particolare, l’elemento distintivo e caratterizzante è l’uso del mascheramento.
I caratteri della celebrazione del carnevale hanno origini in festività molto antiche, come per esempio le antesterie, che erano delle feste celebrate in onore di Dioniso, in ambiente ionico-attico, che avevano a che fare direttamente col piacere del vino e con il “fiorire primaverile”. Questi giorni di festa cadevano infatti nel mese di Antesterione (a cavallo fra febbraio e marzo) con l’avvicinarsi della primavera . Ad Atene venivano chiamate “antiche Dionisie” per distinguerle dalle “grandi Dionisie” più recenti e introdotte infatti da Pisistrato nel VI secolo a.C.) o i saturnali romani, una delle più diffuse e popolari feste religiose di Roma antica, che si celebrava ogni anno, dal 17 al 23 dicembre, in onore di Saturno, antico dio romano della seminagione. Durante le feste dionisiache e saturnali si realizzava un temporaneo scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e anche alla dissolutezza.
Da un punto di vista storico e religioso il carnevale rappresentò, dunque, un periodo di festa ma soprattutto di rinnovamento simbolico, durante il quale il caos sostituiva l’ordine costituito, che però una volta esaurito il periodo festivo, riemergeva nuovo o rinnovato e garantito per un ciclo valido fino all’inizio del carnevale seguente. Il ciclo preso in considerazione è, in pratica, quello dell’anno solare. Nel mondo antico, romano, la festa in onore della dea egizia Iside, importata anche nell’impero Romano, comporta la presenza di gruppi mascherati, come attesta lo scrittore Lucio Apuleio nelle Metamorfosi (libro XI). Presso i Romani la fine del vecchio anno era rappresentata da un uomo coperto di pelli di capra, portato in processione, colpito con bacchette e chiamato Mamurio Veturio. (Un rito simile avveniva nelle Lupercalia che erano un festival della fertilità dedicato a Fauno, il dio romano dell’agricoltura, nonché ai fondatori romani Romolo e Remo. Vedi la Storia di San Valentino per leggere come si svolgeva esattamente il rituale)
Durante le antesterie passava il carro di colui che doveva restaurare il cosmo dopo il ritorno al caos primordiale e più o meno la stessa celebrazione avveniva già in Babilonia, quando poco dopo l’equinozio primaverile veniva appunto riattualizzato il processo originario di fondazione del cosmo, descritto miticamente dalla lotta del dio salvatore Marduk con il drago Tiamat che si concludeva con la vittoria del primo. Il noto storico delle religioni Mircea Eliade scrive nel saggio Il Mito dell’Eterno Ritorno: “Ogni Nuovo Anno è una ripresa del tempo al suo inizio, cioè una ripetizione della cosmogonia. I combattimenti rituali fra due gruppi di figuranti, la presenza dei morti, i saturnali e le orge, sono elementi che denotano che alla fine dell’anno e nell’attesa del Nuovo Anno si ripetono i momenti mitici del passaggio dal Caos alla Cosmogonia”.
In seguito Eliade afferma che “allora i morti potranno ritornare, poiché tutte le barriere tra morti e vivi sono rotte e ritorneranno giacché in questo momento paradossale il tempo sarà annullato ed essi potranno di nuovo essere contemporanei dei vivi”. Le cerimonie carnevalesche, diffuse presso i popoli Indoeuropei, mesopotamici, nonché di altre civiltà, hanno perciò anche una valenza purificatoria e dimostrano il “bisogno profondo di rigenerarsi periodicamente abolendo il tempo trascorso e riattualizzando la cosmogonia”. Eliade scrive anche che “l’orgia è anch’essa una regressione nell’oscuro, una restaurazione del caos primordiale; in quanto tale, precede ogni creazione, ogni manifestazione di forme organizzate”. L’autore aggiunge poi che “sul livello cosmologico l’orgia corrisponde al Caos o alla pienezza finale; nella prospettiva temporale, l’orgia corrisponde al Grande Tempo, all’istante eterno, alla non – durata. La presenza dell’orgia nei cerimoniali che segnano divisioni periodiche del tempo tradisce una volontà di abolizione integrale del passato mediante l’abolizione della Creazione.
Il carnevale si inquadra quindi in un ciclico dinamismo di significato mitico: è la circolazione degli spiriti tra cielo, terra e inferi. Il Carnevale riconduce a una dimensione metafisica che riguarda l’uomo e il suo destino. In primavera, quando la terra comincia a manifestare la propria energia, il Carnevale segna un passaggio aperto tra gli inferi e la terra abitata dai vivi. Le anime, per non diventare pericolose, devono essere onorate e per questo si prestano loro dei corpi provvisori: essi sono le maschere che hanno quindi spesso un significato apotropaico, in quanto chi le indossa assume le caratteristiche dell’essere “soprannaturale ” rappresentato.
Le maschere che incarnano gli antenati, le anime dei morti che visitano cerimonialmente i vivi, sono anche il segno che le frontiere sono state annientate e sostituite in seguito alla confusione di tutte le modalità. La confusione delle forme è illustrata dallo sconvolgimento delle condizioni sociali (nei Saturnali lo schiavo è promosso padrone, il padrone serve gli schiavi; in Mesopotamia si deponeva e si umiliava il re, ecc.), dalla sospensione di tutte le norme, ecc. Lo scatenarsi della licenza, la violazione di tutti i divieti, la coincidenza di tutti i contrari, ad altro non mirano che alla dissoluzione del mondo, affinché possa in seguito essere rigenerato e ricreato.
L’antica tradizione del carnevale si è mantenuta anche dopo l’avvento del Cristianesimo: anche a Roma stessa, capitale del Cristianesimo, la maggiore festa pubblica tradizionale è stata il Carnevale Romano fino alla sua soppressione negli anni successivi all’Unità d’Italia. A Firenze i Medici organizzavano grandi mascherate su carri chiamate “trionfi” e accompagnate da canti carnascialeschi, cioè canzoni a ballo di cui anche Lorenzo il Magnifico fu autore. Celebre è Il trionfo di Bacco e Arianna scritto proprio dal Magnifico. Nella Roma del regno pontificio si svolgevano invece la corsa dei barberi (cavalli da corsa) e la “gara dei moccoletti” accesi che i partecipanti cercavano di spegnersi reciprocamente.
Nella storia dell’arte invece, una famosa opera pittorica è la Lotta tra Carnevale e Quaresima del pittore olandese Pieter Bruegel il Vecchio. Personaggi mascherati del carnevale veneziano sono presenti in vari dipinti del Settecento veneziano di Canaletto, Francesco Guardi e negli interni di Pietro Longhi. Il Carnevale non termina ovunque il Martedì grasso: fanno eccezione il Carnevale di Viareggio, il Carnevale di Ovodda, il carnevale di Poggio Mirteto, il Carnevale di Bientina, il carnevale di Borgosesia e il Carnevalone di Chivasso. Anche il Carnevale di Foiano della Chiana termina la domenica dopo le Ceneri. In diversi Carnevali il martedì grasso si rappresenta, spesso con un falò, la “morte di Carnevale”.
Secondo lo studioso Michail Bachtin, che trattò del carnevale nel suo testo – L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale. – “Il carnevale, in opposizione alla festa ufficiale, era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù… Era l’autentica festa del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva a ogni perpetuazione, a ogni carattere definitivo e a ogni fine. Volgeva il suo sguardo all’avvenire incompiuto… Tutte queste forme di riti e spettacoli organizzati in modo comico erano molto diffuse in tutti i paesi dell’Europa medievale, ma si distinguevano per la loro ricchezza e la loro complessità nei paesi di cultura romanza, e in particolare in Francia […].
Tutte queste forme, organizzate sul principio del riso, presentavano una differenza estremamente netta, di principio si potrebbe dire, rispetto alle forme di culto e alle cerimonie ufficiali serie della chiesa e dello stato feudale… Esse rivelavano un aspetto completamente diverso del mondo, dell’uomo e dei rapporti umani, marcatamente non ufficiale, esterno alla Chiesa e allo Stato; sembravano aver edificato accanto al mondo ufficiale un secondo mondo e una seconda vita, di cui erano partecipi, in misura più o meno grande, tutti gli uomini del Medioevo, e in cui essi vivevano in corrispondenza con alcune date particolari. Tutto ciò aveva creato un particolare dualismo del mondo, e non sarebbe possibile comprendere né la coscienza culturale del Medioevo, né la cultura del Rinascimento senza tenere in considerazione questo dualismo.
L’ignorare o il sottovalutare il riso popolare del Medioevo porta a snaturare il quadro di tutta l’evoluzione storica della cultura europea nei secoli seguenti […]. Un significato del tutto particolare aveva l’abolizione di tutti i rapporti gerarchici. In effetti, durante le feste ufficiali le differenze gerarchiche erano mostrate in modo evidente: in esse bisognava apparire con tutte le insegne del proprio titolo, grado e stato, e occupare il posto assegnato al proprio rango. La festa consacrava l’ineguaglianza. Al contrario, nel carnevale tutti erano considerati uguali, e nella piazza carnevalesca regnava la forma particolare del contatto familiare e libero fra le persone, separate nella vita normale – non carnevalesca – dalle barriere insormontabili della loro condizione, dei loro beni, del loro lavoro, della loro età e della loro situazione familiare.
Concludendo possiamo dire che sin dall’antichità, come dimostrano appunto i Saturnali romani, la festa dei pazzi nel Medioevo e via dicendo, il Carnevale ha dunque sempre rappresentato un’esperienza fondamentalmente collettiva, è il momento del riso, della trasgressione, della satira e della parodia, dell’esaltazione, insomma, del “mondo alla rovescia”, con la connessa contestazione dei rapporti gerarchici. La festa carnevalesca, con il suo spirito eversivo, ha influenzato profondamente, secondo Bachtin, alcuni generi letterari comico realistici soprattutto attraverso il linguaggio: un linguaggio radicalmente antiletterario, familiare, plebeo, “di piazza”, realistico sino all’oscenità, corposo e instintuale, gioioso e vitalistico.
Massima espressione dello spirito e della lingua carnevaleschi è appunto Rablais, a cui Bachtin ha dedicato uno studio veramente ponderoso; ma le radici antropologiche e culturali dello scrittore francese affondano in un “humus” antichissima: dalla novellistica milesia alla satira, dalla commedia al romanzo d’avventura e picaresco elementi del modo carnevalesco sostanziano i più diversi generi letterari, spesso in ironica e parodica dialettica con i generi più formalmente considerati seri.
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