Taoismo religione e filosofia. L’origine e i principi fondamentali di questa grande corrente di pensiero e dei suoi grandi ideatori originali, da Lao Tzu a Chuang tzù
Nel corso delle sue peregrinazioni, Confucio ebbe a incontrare dei singolari personaggi che conducevano l’esistenza del contadino ma che, nonostante ciò, si dimostravano ben niformati sulle sue dottrine: ma essi le condannavano sdegnosamente e ostentavano un profondo disprezzo per il suo zelo missionario. Dal canto loro, essi si dedicavano soltanto alla propria salute spirituale tenendosi lontani dalle corti feudali e rifiutandosi di prendere parte alla vita pubblica, in quanto non scorgevano alcun rimedio possibile ai mali della società. Talora questi saggi nascosti formavano d’altro canto dei piccoli gruppi che riunivano alcuni discepoli intorno a un maestro. In ambienti di questo tipo si andò elaborando, almeno in parte, la dottrina taoista: purtroppo le opere composte dagli esponenti di queste scuole per la maggior parte sono andate perdute o se ne conservano solo dei frammenti. Perciò solo i due libri intitolati Lao-Tzu e Chuang-tzu rappresentano ai nostri occhi il “taoismo filosofico” che più tardi, fondendosi con credenze di origine diversa, avrebbe dato origine al “taoismo religioso”.
Il Tao e il Te
Abbiamo già incontrato la parola Tao nella terminologia confuciana, dove essa indica generalmente l’ideale etico di questa scuola. In realtà questo termine è comune a tutte le correnti del pensiero cinese antico e non appartiene alla sola scuola del Tao. In senso proprio, Tao significa «strada, via»; con valore verbale il termine significa “circolare, guidare, mettere in comunicazione”, oppure “esprimersi, comunicare con altri attraverso la parola”: da quest’ultimo senso derivano quello di “dottrina” e di “metodo” in senso tecnico o altro. Nello Yi-ching la parola Tao ha già un valore metafisico: essa indica un principio superiore che unifica e governa le alternanze dello Yin e dello Yang. Esso è dunque già un principio dell’Ordine: dell’ordine naturale o dell’ordine morale e politico. In quanto principio dell’ordine naturale, si manifesta nei grandi ritmi dell’universo, nell’alternanza delle stagioni calde e delle stagioni fredde, in quella del giorno e della notte; come principio dell’ordine politico indica il potere magico-religioso del Capo, capace di governare il mondo nella sua totalità. In questo caso si parla anche di Tao-te, dove Te indica un potere di realizzazione in ambiti particolari, mentre Tao implica un’efficacia universale.
Il Capo politico deve essere in accordo con il Tao per poter governare il mondo intero; in tal caso possiede una Virtù, un Te, che esercita un influsso benefico e vivificante sugli esseri che lo circondano. Grazie al suo Tao-te, il Capo diventa un polo di attrazione cui si sottomettono i popoli di tutto l’universo, anche i barbari più lontani dalla sua capitale. Per i confuciani tale Virtù risulta dalla pratica delle virtù morali, e può essere acquisita dal saggio anche se non governa: Confucio pertanto era considerato un re senza corona e, come abbiamo visto, Mencio attribuiva al saggio la preminenza sul principe. Con i taoisti Tao e Te assumono un valore decisamente metafisico ed anche religioso.
Lao Tzu
Lao tzù, l’autore cui si attribuisce tradizionalmente il Tao-te ching, è forse solo una figura leggendaria e in ogni caso su di lui non si sa praticamente nulla di certo. Il suo nome sarebbe stato Lao Tan o Li Erh; avrebbe avuto un incontro con Confucio, che era più giovane di lui; avrebbe occupato in un primo tempo la funzione di archivista e astrologo alla corte dei Chou ma, deluso dalla decadenza di quella dinastia, si sarebbe messo in viaggio verso l’Occidente. Mentre stava superando un passo di montagna, avrebbe dettato al guardiano di quel passo la raccolta di aforismi composta di due sezioni per complessivi cinquemila caratteri, che costituisce il Lao-Tzu e che è nota anche sotto il titolo di Libro del Tao e del Te (Tao-te ching) a partire dal primo secolo della nostra era. Ma questo libro, nella forma in cui è giunto fino a noi, non può certo risalire al VI secolo avanti C. e deve essersi formato intorno al 300 avanti C., sulla base di elementi più o meno antichi. Tuttavia nell’insieme esso espone un sistema di pensiero coerente ed ha esercitato un notevole influsso sul pensiero cinese.
Per Lao tzù il Tao è un’entità primordiale ed eterna (ch’ang). Esso precede tutte le cose visibili e precede anche i Ti, cioè le divinità superiori. È inaccessibile ai sensi, non è nulla (wu) di percettibile. Ma da questo nulla nasce il mondo visibile (you) dal cui seno nascono infine gli esseri particolari. Le nozioni di wu, (cioè senza proprietà percettibili) e di you (dotato di tali proprietà), sono essenziali nel pensiero metafisico di Lao tzù. “Tutti gli esseri di questo mondo nascono dal Visibile; il Visibile nasce dall’Invisibile.” (cap. 40). Questa opposizione tra i due campi del sensibile e del soprasensibile implica quella fra denominabile e non denominabile. È quanto viene affermato fin dal primo capitolo dell’opera: “Un Tao di cui si può parlare non è il Tao eterno; un nome che serve a denominare non è il Nome eterno. Ciò che è senza nome è origine del Cielo e della Terra; ciò che ha nome è madre dei diecimila esseri”.
Poiché Tao è senza forma e senza limiti non può avere un nome. Esso viene paragonato a un pezzo di legno non ancora lavorato (p ‘u) e quindi non ancora diventato un oggetto definibile. Tao è solo un termine pratico per indicarlo, non è un nome. Il nome, per gli antichi cinesi, non era distinguibile dall’essenza dell’essere che denominava; non solo lo qualificava, ma dava a chi lo conosceva e lo pronunciava un potere su di esso. Il vero nome del Tao trascendente è esso stesso trascendente ed eterno (ch’ang) e quindi inconoscibile.
Nell’ultimo capitolo del Chuang-Tzu, dove vengono riassunte le dottrine dei principali filosofi dell’antichità cinese, si dice che Lao tzù faceva capo a una corrente mistica e che diede come base al proprio sistema i concetti di un Principio eterno e senza proprietà (Ch’ang wu you) e di Unità suprema (T’ai-yi). Il Tao si presenta in effetti sotto diverse modalità: da un lato è trascendente (Ch’ang T’ai-yi), dall’altro lato, nella misura in cui si manifesta, diviene immanente, penetra, anima, organizza gli esseri.
In quanto generatore dell’universo, il Tao è un principio femminile, è la madre del mondo; fa nascere gli esseri, e il suo Te, la sua virtù, li conduce alla maturità. Ma per far nascere gli esseri è indispensabile la collaborazione dei sotto-principi sessuati: Cielo e Terra, Yin e Yang, perciò si può essere certi che la virtù del Tao si confonde con quella della Terra. Per questo nel sesto capitolo del Tao-te ching, il Tao (o il suo Te) è chiamato Spirito della Valle: “Lo Spirito della Valle non muore, è la Femmina misteriosa La porta della Femmina misteriosa è la radice dell’Universo”.
Queste espressioni, che sono state fatte oggetto di molti commenti esegetici, alludono forse a un mito tellurico che non è giunto sino a noi. All’idea di femminilità è legata anche quella di vacuità, richiamata dall’immagine della valle, che simboleggia anch’essa sia l’assenza di qualità sensibili del Principio, che il vuoto mentale del saggio.
Infatti i taoisti condannano ogni conoscenza discorsiva come pericolosa, in quanto essa introduce la molteplicità nell’anima, mentre questa deve “abbracciare l’unità”, cioè essere unificata nel Tao. Per conservare tale unità è necessaria una particolare disciplina dei sensi e delle passioni. “I cinque colori fanno sì che gli occhi non vedano più. Le cinque note fanno sì che le orecchie non sentano più: I cinque sapori otturano la bocca» (cap. 12).
Secondo la fisiologia tradizionale cinese, gli organi di senso sono aperture da cui i principi vitali possono sfuggire se non vengono controllati. Le passioni sono causa di perdita di potenza vitale e spirituale: perciò venivano raccomandate delle forme di ascesi, che tendevano però all’uso armonioso delle facoltà sensoriali e non alla loro soppressione.
Nel condannare la “scienza”, Lao tzù prende di mira sopratt utto i valori insegnati dai filosofi confuciani. Questi li presentano come assoluti, mentre in realtà essi sono relativi e mentre ogni affermazione porta seco l’affermazione ad essa contraria: “Ciascuno afferma che quello che è bello è bello, e con ciò viene affermata la bruttezza; e ciascuno afferma che ciò che è bene è bene e con questo è affermato il non bene… Per questo il Santo si chiude nell’inazione e diffonde un insegnamento senza parole.” (cap. 2).
Le conoscenze di cui vanno fieri i filosofi sono dunque un falso sapere che non deve essere insegnato: è meglio “riempire le pance”. Il Santo, per quanto lo riguarda, può “senza superare la sua porta conoscere il mondo intero e senza guardare dalla finestra può vedere il Tao celeste”. Il taoista non agisce (wu-wei) e ciò nonostante non vi è nulla che egli non porti a compimento. Wu-wei è un concetto fondamentale del pensiero taoista. Esso non indica assolutamente una inazione assoluta, ma piuttosto un atteggiamento di non intervento nel corso delle cose e di rispetto della autonomia altrui. In ciò il taoista si limita a conformarsi al Tao stesso, che “resta sempre senza agire eppure realizza tutto”. Ne risulta un’etica più universalistica di quella confuciana: il Santo taoista è “salvatore di uomini”, non respinge nessun uomo e nessun essere. Grazie alla sua sola virtù, attira a sé gli esseri e li converte al bene senza che essi se ne rendano conto, lasciandoli seguire la loro spontaneità naturale.
In questa prospettiva Lao tzù distingue varie categorie di Te: c’è un Te superiore, quello di chi non fa nulla per acquistarlo e che non si distingue dalla efficacia del Tao stesso. Quando invece si compiono degli sforzi per essere virtuosi secondo le norme sociali, tale Virtù va perduta e con essa la forza interiore che è la sola a procurare la santità, e si possono acquisire solo virtù secondarie e sempre più spregevoli. Infatti, se si scende in basso, la virtù dello Jen (la bontà confuciana) si degrada anch’essa, diventa Yi (equità) e poi Li (ritualismo), la “virtù” più lontana dallo spirito taoista. I valori morali correnti – in sostanza quelli propri dell’aristocrazia – vengono condannati perché essi si oppongono alla spontaneità naturale e al “non agire”.
D’altra parte, Lao tzù, come quasi tutti gli antichi filosofi, con alcune sue affermazioni si rivolge al principe a cui vuole insegnare che wu-wli e non-violenza sono i mezzi più efficaci per ottenere il potere e per conservarlo: “Il migliore dei principi è quello di cui tutti ignorano l’esistenza”. Più numerosi sono le leggi e i divieti, e più il popolo è miserabile e maggiore è il numero dei delinquenti: “Per questo il Santo (o il Principe) dice: io non agisco e il popolo si corregge da se stesso; io rimango nella quiete e il popolo si governa da solo; io non mi dedico a nessuna impresa e il popolo si arricchisce; non ho desideri e il popolo vive nella semplicità”. (cap. 57).
Il wu-wei è proposto addirittura come una tecnica militare perché “ciò che è flessibile e debole vince ciò che è duro e forte”. Il concetto è illustrato dal paragone con l’acqua: “Non v’è nulla di più debole, di meno resistente dell’acqua, eppure essa vince tutto ciò che è duro e forte”. Analogamente la femminilità e lo stato d’infanzia sono qualità che superano di gran lunga le virtù virili: “Conosci la tua mascolinità ma preferisci la tua femminilità e sarai l’abisso del mondo; sii l’abisso del mondo e il Te supremo non ti mancherà, e allora saprai ritrovare lo stato d’infanzia”. (cap. 28). Inoltre ogni azione aggressiva suscita un’azione contraria che la controbilancia e, in termini più generali, ogni energia che si sia sviluppata sino a esaurirsi torna al proprio stato iniziale. Il “ritorno” costituisce una legge universale: è il “movimento” del Tao stesso, del Tao regolatore dei ritmi e degli equilibri in seno alla natura. La conoscenza di questa legge – la sola conoscenza che Lao tzù giudica valida – procura al sapiente una serena illuminazione ed egli si pone spontaneamente fuori dal gioco.
Alcuni passi del Tao-te ching fanno allusione a tecniche per raggiungere la longevità che erano probabilmente praticate fin da tempi immemorabili e che saranno largamente utilizzate e sviluppate nel cosiddetto taoismo religioso. Se queste tecniche basate su particolari forme di ginnastica, di dietetica e altre ancora, possono interessare la filosofia, ciò è perché, per i pensatori tradizionali, la santità non è separabile dalla potenza vitale. Questa agli occhi dei taoisti può essere acquisita e mantenuta grazie a una economia del dispendio di energie: è ancora grazie al wu wei, al vivere in modo non eccessivamente intenso, che si conserva l’agilità e l’energia vitale del bambino e che perciò si può sperare di vivere più a lungo.
Il Tao-te ching è un breve testo dal contenuto estremamente ricco, ma non può essere definito un trattato di filosofia. I suoi aforismi, molti dei quali sono suscettibili di interpretazioni assai diverse, propongono degli argomenti di riflessione ma non comportano nessuna dimostrazione. Per questo il pensiero taoista resterebbe ai nostri occhi assai ermetico se non possedessimo il Chuang-tzù, che è un’opera molto più complessa.
Chuang tzù
L’autore del Chuang-tzu, Chuang Chou, era originario del paese di Sung, nell’attuale Honan. Egli visse nel IV secolo avanti C., ma quanto sappiamo della sua vita si riduce a pochi aneddoti. Si racconta in particolare che egli rifiutò gli incarichi ufficiali che gli furono offerti perché preferiva la sua libertà agli onori. Il Chuang-tzú non è interamente opera sua, ma non è sempre facile stabilire quali parti sono autenticamente da attribuirgli. D’altro canto gli studiosi non sono d’accordo su un problema importante, se cioè sia più antica l’opera di Lao tzù o quella di Chuang tzù. Sembra certo peraltro che Chuang Chou abbia conosciuto, se non il Tao-te ching sotto la forma in cui è giunto a noi, almeno un’opera precedente che conteneva le parti essenziali della dottrina di Lao tzù.
Chuang tzù ha le stesse concezioni del Tao che troviamo in Lao tzù. Come per quest’ultimo, si tratta di un assoluto ineffabile: “Il Tao è al di sopra delle cose visibili, non può essere colto né dalle parole né dal silenzio”. Se vi si trova qua e là l’affermazione che il Tao è immanente, presente in tutti gli esseri e anche nelle cose più spregevoli, più spesso l’accento è posto sulla sua trascendenza e sul suo carattere primordiale: “Prima che vi fossero Cielo e Terra, esso esisteva dall’eternità”. Tao è il principio della vita universale e delle potenze del sacro. Essendo ineffabile, può essere espresso solo negativamente; è privo di qualità sensibili (wu), è privo di attività benché sia efficacia suprema; è senza forma e senza nome. Le parole, di cui noi siamo costretti a servirci, non possono far altro, nel migliore dei casi, che rappresentare gli esseri finiti e le loro qualità: il Tao resta fuori della loro portata.
Il Tao è soprattutto principio di unità, in esso si annullano le contraddizioni. In esso tutti gli esseri sono uno e i giudizi di valore che li riguardano si annullano. Ma il senso del Tutto si è oscurato presso la maggior parte degli uomini, che si contrappongono gli uni agli altri con i loro pregiudizi e le loro opinioni. Ciascuno crede che la porzione di verità che egli possiede abbia carattere assoluto e intende imporla agli altri: “Questi spiriti sono come morti, non è più possibile ricondurli alla luce”. Chuang tzù critica soprattutto le opinioni dei filosofi del suo tempo, i discepoli di Confucio e di Mo Ti, e quelle dei sofisti, mostrando che esse si rivelano prive di senso se ci si pone in grado di trascenderle mettendosi al centro dell’anello delle tesi e delle antitesi, identificandosi con “l’asse del Tao” o, secondo un’altra sua espressione, mettendosi mentalmente “fuori dal mondo”, là dove evidentemente non ha più senso parlare. Il Santo taoista adotta di conseguenza un atteggiamento di totale neutralità: egli si lascia illuminare dal Cielo ma evita di inculcare agli altri le proprie idee.
Egli lascia che le cose si compiano spontaneamente e si vieta di intervenire maldestramente per togliere agli esseri la loro libertà naturale e soprattutto evita di porsi al servizio del bene pubblico. Chuang tzù proclama la virtù dell’inutilità; per esempio, un albero ha qualche probabilità di sfuggire alla scure del boscaiolo solo se il suo legno non ha alcun valore agli occhi dei falegnami. Ma la presa di coscienza del “vantaggio di essere inutile” è solo una tappa sul cammino che deve condurre al più elevato concetto di una inutilità in qualche modo trascendente, quella del vero Santo che rifiuta di specializzarsi in un qualsiasi campo di attività profana e si sottrae in tal modo al potere di qualunque influenza esterna. Ritroviamo qui la particolare atmosfera mistica per cui il Santo, grazie al proprio wu-wei e alla sua “inutilità”, ritiene di essere utile al mondo. Grazie alla purificazione psichica a cui si è dedicato, può vivere nel mondo e in esso “agire senza agire”, grazie a un potere segreto di cui egli stesso non è conscio.
I contatti con gli altri non sono privi di pericoli finché non sono perfettamente disinteressati: ciò vale per tutti gli uomini ma in modo particolare per il principe, il cui primo dovere è quello di occuparsi della sua anima. Il pensatore taoista sembra raggiungere qui il punto di vista confuciano, ma per i filosofi confuciani si tratta di un fatto di cultura, e i “letterati” sono attivisti. Ma per Lao tzù e per Chuang tzù il loro zelo filantropico riesce soltanto a pervertire gli uomini. L’ideale taoista sarebbe invece una sorta di anarchià naturalista: esso richiede di rinunciare a ogni artificio e anche alla tecnica; il regime politico meno nocivo sarebbe quello costituito da piccolissime comunità di villaggio autonome. Appoggiando un sistema di questo genere, i taoisti reagivano certamente contro l’affermarsi dei poteri autoritari entro gli Stati burocratici che si andavano formando nell’epoca di torbidi detta dei Regni combattenti.
Ponendosi dal punto di vista del Tao, il saggio comprende sia sul piano intellettuale sia sul piano esistenziale che l’Essere costituisce una unità: questa non soltanto compone le contraddizioni concettuali, ma costituisce anche l’unità cosmica entro la quale si operano i mutamenti. La vita e la morte non sono altro che casi particolari delle alternanze, di cui la natura offre innumerevoli esempi: esse sono soltanto due aspetti di una stessa realtà. Tutti gli esseri passano attraverso successioni di vita e di morte nel corso delle quali rivestono forme diverse. Il saggio taoista accetta questo fatto con gioioso ottimismo perché egli non collega questa sorta di trasmigrazione alle idee di karma e di dolore come avviene nel pensiero indiano. Il ritorno al Tao indifferenziato può essere paragonato al ritorno nella propria patria di origine, e il nostro passaggio sulla terra non è in sostanza altro che un sogno: “Vi sarà un grande risveglio grazie al quale sapremo che abbiamo fatto un lungo sogno”. In un celebre passo, Chuang Tzu racconta che gli avvenne di sognare di essere una farfalla, e si chiede allora se è un uomo che sogna di essere una farfalla o se è in quel momento una farfalla che sogna di essere un uomo.
Il saggio – o il Santo – taoista ha coscienza di vivere in un mondo che se non è completamente illusorio è comunque un mondo in cui tutto è mobile, inconsistente, contingente e relativo, ma al di là del quale esiste un assoluto con cui è possibile entrare in comunicazione sul piano mentale e spirituale, nell’attesa di rientrarvi. Lao tzú è poco esplicito sulle esperienze mistiche a cui peraltro sembra fare allusione in alcuni passi del Tao-te ching come ad esempio là dove egli raccomanda all’adepto di far sì che la sua anima corporale e la sua anima spirituale “abbraccino l’unità” o là dove si parla di “luce interiore”. Chuang tzú oltre a questo descrive con precisione le tappe che conducono all’unione con Tao e all’estasi. Il Tao non è il dio dei filosofi, ma se non è neppure un dio personale, è comunque oggeto di sentimenti di tipo religioso.
Poiché il Tao è velato nelle coscienze dall’artificiosità della civiltà, per giungere all’illuminazione è necessaria una purificazione spirituale. Una tappa necessaria è costituita dalla riflessione critica che rivela il carattere relativo delle idee comunemente accettate: ma per raggiungere l’estasi, l’adepto deve passare attraverso una purificazione di carattere religioso: sotto la silenziosa direzione di un maestro egli si spoglia a poco a poco delle parti costituenti del suo io sociale, perde coscienza del suo corpo, le sue percezioni sensoriali non sono più differenziate, egli “ascolta con gli occhi e vede con gli orecchi”, ciò che significa che egli si trova in comunicazione con il tutto attraverso il suo intero essere; ha l’impressione di volare via, di spostarsi liberamente nello spazio e nel tempo. Vista esteriormente, la persona in stato di estasi “sembra un pezzo di legno secco”: sembra che la sua anima, la sua essenza vitale, l’abbia abbandonata, perché effettivamente essa è andata a “raggiungere l’origine delle cose”.
La credenza nella possibilità reale del volo magico era diffusa in vari ambienti della Cina antica. Chuang tzù utilizza il tema del viaggio spirituale per illustrare la condizione di libertà assoluta che il Santo taoista raggiunge quando arriva a vivere in simbiosi con il cosmo. Identificando il proprio ritmo vitale con quello delle forze naturali, egli partecipa all’infinitudine dell’universo e alla sua immortalità. Egli raggiunge così una forma di vita superiore che non è più la vita biologica, la quale ha come controparte la morte, e vive della vita stessa del Tao. In alcuni ambienti “taoisti” ci si dedicava a pratiche di tipo fisico – respiratorie, ginnastiche, dietetiche – destinate a prolungare la vita in modo indefinito. Chuang tzù respinge queste pratiche perché per lui solo l’estasi e l’unione mistica con il Tao può conservare nella sua integrità la potenza della vita. Nondimeno sembra che egli ammetta alcuni esercizi respiratori che successivamente, insieme ad altre pratiche, ebbero una funzione importante nel taoismo.
E opportuno ricordare che lo stesso processo che ha lo scopo di “rendere vuota” l’anima e di giungere all’estasi è in realtà necessario per riuscire a esercitare un’influenza benefica sugli altri. Il Santo taoista infatti non è necessariamente un eremita che si ritira dal mondo, perché egli può essere contemporaneamente “fuori dal mondo” e vivere come qualsiasi altra persona. Egli può essere anche “santo interiormente” e “re esteriormente”, ciò che costituisce l’ideale del principe quale si trova espresso nel Chuang-Tzu in un capitolo che peraltro non è dovuto a Chuang Chou, ma che è adottato in generale da tutti i pensatori cinesi.
Hsun tzu rimproverava a Chuang tzù di aver voluto conoscere soltanto la natura e non l’uomo; i pensatori confuciani più tardi criticarono la sua eccentricità e il suo amoralismo. Tuttavia il suo influsso fu profondo, in particolare sul buddhismo ch’an e indirettamente sul neo-confucianesimo. Chuang tzù è stato, d’altra parte e soprattutto, fonte importantissima di ispirazione artistica e letteraria.
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Pensieri e riflessioni di Lao Tzu
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